“E’ facile crogiolarsi nell’oscurità, essere cinici. Essere felici è una scelta coraggiosa. E’ prendere posizione” Sally Hawkins
Questo post è un po’ un paradosso, o meglio una provocazione per tutti noi che nel momento in cui un problema sparisce dal nostro orizzonte quasi ne abbiamo nostalgia.
A noi essere umani piace la sensazione di risolvere problemi, ci piace sentirci intelligenti e in grado di occuparcene.
Ma per avere questa bella soddisfazione, abbiamo bisogno di qualche problema da risolvere. Crediamo dunque di voler evitare i problemi, mentre ci servono per poter vivere l’emozione positiva tipica dell’essere in grado di risolverli con l’iniezione di autostima che ne consegue.
La prova di ciò? Il fatto che, se per un paio di giorni di seguito “tutto va bene” e non ci sono problemi in vista, presto ci sentiamo nervosi, o ci annoiamo, o improvvisamente ci irrita o ci “manca” qualcosa. Oppure ci interessiamo ai problemi altrui.
Starcene semplicemente tranquilli, distesi sul divano, o comodamente seduti in poltrona o a passeggio in un prato, non è da noi: prima o poi sentiamo il bisogno di occuparci di qualcosa, di dimostrare, anche solo di fronte a noi stessi, le nostre capacità, di metterci alla prova.
Questa scelta, quindi, ci porta ad osservare eventuali “problemi” come, appunto cose di cui possiamo occuparci, e come buone occasioni per mettere alla prova la nostra creatività umana. Non solo, possiamo anche notare grazie a quali visioni, scopi, disegni di vita riusciamo ad assegnare significati alle cose adatti a vedervi dei problemi.
Lo so, quello che ho detto potrebbe sembrare alquanto cinico e contraddire le mie capacità empatiche e professionali, in realtà fa parte di quella ricerca di congruenza e consapevolezza della propria vita che è poi il presupposto fondamentale per ri-trovare la parte di sé più autentica.
Immaginiamo una persona che per evitare il grigio dell’inverno, le giornate senza sole, si sia fatta un paio di occhiali da sole con le lenti gialle che la aiutano a “stare su”.
Il problema di questa persona sarà, a questo punto, il come fare a togliersi se si abitua alla bellissima luminosità antidepressiva di questi occhiali.
Per riuscire ad avere questo problema la persona in questione deve desiderare in maniera implicita di evitare ad ogni costo di vedere il cielo grigio.
E questo a pensarci bene è uno pseudo-problema che nasconde uno scopo irraggiungibile: il desiderio di far credere al suo sistema limbico che sia sempre bel tempo è una pia illusione.
L’idea di comprarsi gli occhiali da vista con le lenti gialle era la soluzione che la persona aveva architettato al problema della depressione invernale. Ora che li ha, il problema è il timore di abituarsi.
Sembra allora che i problemi si adattino, malleabili, alla situazione, mutanti come un virus.
So che il problema dell’esempio di cui sopra è profondamente sciocco e chi mi legge potrebbe pensare: “avercene di problemi così ..”.
Tuttavia, molte volte, anche i problemi “veri” tendiamo a vederli come tante buone occasioni per prenderci la soddisfazione di trovare una soluzione.
Proviamo, partendo dalla prospettiva dello pseudo-problema, a farci queste domande: come ci sentiamo nel farlo? … ci sembra un po’ un trucco come nel caso dell’esempio delle lenti gialle? … ma il significato che diamo alle cose non è una nostra creazione autonoma e personale? …. Allora chi ci vieta di essere felici rispondendo alle sfide della vita? … di metterci alla prova? …
Una specie di diffuso conformismo implicito ci dice di che cosa abbiamo bisogno : di un lavoro che ci dia soddisfazione, di una famiglia che funziona, di una vita felice, di questo e di quello … tutti buoni modi per avere modelli da raggiungere e quindi problemi da risolvere, oltre che per svalutare quello che , come al solito, è come è.
Ma se scelgo di avere i problemi che ho, per poter sentire la tipica contentezza legata al cercare di risolverli come una specie di sudoku speciale della mia vita, come mi sento ad averli? … sono ancora “un problema”? …. O sono le cose che al momento ci caratterizzano, di cui al momento ci occupiamo?
Se è vero che nessuno è infelice, o ha problemi “apposta”, osservarsi con consapevolezza dovrebbe rendere impossibile, la scelta di essere infelici o di avere problemi – infatti non è una scelta: quando sentiamo questo stato mentale possiamo scegliere di osservarlo, e ci possiamo chiedere che cosa ci vuol far fare, la nostra diffusa “infelicità”, ad esempio.
Se ci accorgiamo che l’inquietudine, l’insoddisfazione, l’infelicità sono una specie di benzina, di carburante dell’anima, verso la soluzione dei nostri problemi, ci sentiamo ancora cos’ infelici, ad essere infelici?
Tuttavia anche accettare che è disumano essere-sempre-felici mi pare una buona scelta, soprattutto per quei giorni in cui ci sentiamo meno coraggiosi del solito…..