” Non dovrebbero forse questi dolori antichi diventare finalmente fecondi per noi?” R.M.Rilke
La via della consapevolezza si acquisisce nel tempo e si acquista attraverso un lento e spesso faticoso percorso riflessivo.
L’individuazione di sé è un processo continuo che ci accompagna per tutta la vita perché ogni fase dell’esistenza ha le sue particolarità e le sue necessità, ha bisogno di ricevere ogni volta attenzioni particolari ai diversi eventi della vita, per poter dare risposte maggiormente consapevoli e congruenti con il proprio modo di essere.
Alle diverse tappe evolutive corrispondono diverse modalità espressive e comunicative, in quanto dipendenti anche dalle acquisizioni cognitive ed emotive maturate da ciascuno.
Certamente ogni percorso è individuale e può definirsi unico come unico è ognuno di noi.
Parlando di consapevolezza immediatamente ci viene in mente la parola autostima; perché sono le consapevolezze che possono aiutare a modificare il nostro modo di essere, sono le consapevolezze che consentono di misurare il livello di autostima e di migliorare la qualità dell’essere al mondo.
Secondo il pensiero di Margaret Mahler, già al momento della nascita si è dotati di un bagaglio genetico sul quale si vanno ad innestare poi le coordinate relazionali: da questi incastri si definiscono via via le modalità di essere nel mondo.
Questa autrice, che ha studiato l’interazione madre-bambino e ha osservato i progressi nell’individuazione del piccolo, definisce il primo periodo della vita “fase simbiotica” e quello successivo “processo di separazione-individuazione. Queste tappe sono basilari per una crescita sana: se il bambino può vivere in termini positivi la fase simbiotica, nell’accoglienza totale del suo essere e con le risposte adeguate ai suoi bisogni, potrà approdare alla fase successiva durante la quale egli sentirà il bisogno di allontanarsi dall’oggetto sicuro, cercando la sua via autonoma, ma con la certezza di poter ri-trovare il porto sicuro nel momento in cui sente il bisogno.
Questa alternanza tra la simbiosi e l’individuazione è il solo mezzo per raggiungere la consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti, ma questa meta presuppone il saper tollerare la frustrazione della mancanza dell’oggetto d’amore, la madre, quando essa è assente e non può accudire il bambino.
Il bambino sa tollerare la frustrazione quando, attraverso il pensiero, riesce ad immaginare l’oggetto d’amore e quindi a renderlo disponibile per se stesso, e nell’immaginario si instaura ciò che si definisce “costanza dell’oggetto”.
La “costanza dell’oggetto”, cioè la capacità di mantenere internamente l’immagine della mamma, consente al bambino l’acquisizione del limite della sua onnipotenza e nello stesso tempo dona al bambino conforto e sostegno. Il radicamento di queste consapevolezze genera una base sicura che consentirà di affrontare le ulteriori fasi della crescita, fasi che verranno affrontate sulla scia delle modalità acquisite nei primi tempi della vita.
E comunque, comunque vada la vita, in ogni caso la sofferenza accompagna il cammino dell’uomo, ma da questa, insieme alla risonanza del dolore è possibile, volendo, cercare di percorrere la via della trasformazione per raggiungere nuovi significati del sé.
La crescita è anche dolore, il cammino non è mai privo di spine, ma la vita è nostra e solo noi possiamo modificare, attraverso l’azione il viaggio.
E per superare il dolore, a volte sopito e sordo, a volte invece evidente ed espresso, legato alla carenza di autostima che ostacola il nostro procedere vitale, è necessario porsi in ascolto delle nostre “disfatte” che impediscono il germogliare della nostra parte creativa.
Portare in figura i nostri blocchi, le nostre difficoltà, consapevolizzare il nostro modo di essere nel mondo significa avere il potere di modificare le situazioni, significa avere in mano il timone e poter scegliere la direzione; il limite è ciò che da spessore alle nostre capacità.
Quando manca la consapevolezza di se stessi inevitabilmente cerchiamo qualunque altra cosa fuori di noi. Abbiamo bisogno di identificarci in qualcosa, ma questo qualcosa può non essere propriamente nostro, quindi sperimentiamo la frustrazione di non poter riuscire, viviamo un fallimento e ci sentiamo “limitati” . Se riuscissimo a fare nostro quello che per Perls è il must di ogni essere umano :” “ogni individuo ogni pianta, ogni animale ha solo uno scopo … realizzarsi per quel che è. Una rosa, è una rosa. La rosa non ha nessuna intenzione di realizzarsi come canguro” , eviteremmo molte frustrazioni e mobiliteremmo, invece, tutte le nostre risorse per diventare quelli che siamo.
Diventare consapevoli significa assumersi la responsabilità della propria vita significa dare a se stessi la possibilità di perdonarsi per la propria imperfezione e, perché no, di gioire, sorridere dei propri difetti ed errori: “amo tutti gli incontri imperfetti di bersaglio e freccia che mancano il centro, a sinistra e a destra, sopra e sotto. Amo tutti i tentativi che falliscono in mille modi diversi…amico non aver paura dei tuoi errori. Gli errori non sono peccati. Gli errori sono modi di fare qualcosa di diverso, forse nuovo in senso creativo. Amico non pentirti dei tuoi errori. Siine fiero. Hai avuto il coraggio di dare qualcosa di te stesso” (Perls, 1969)
Essere consapevoli di ciò che si prova dentro di sé, senza sentirsi sbagliati, è il passo fondamentale per essere padroni di se stessi. Arthur Schopenhauer