“C’è una crepa in ogni cosa. E’ da lì che entra la luce.” L. Cohen
Eccoci a Lunedì e al nuovo post con una riflessione che è emersa prepotente durante il passato week end di formazione al 1° anno di Counseling Espressivo, la “perfezione” un argomento spinoso che ho trattato varie volte in questo blog e che mi trovo sempre più spesso a lavorare con i miei clienti. Ideali dell’io impensabili per la nostra natura umana, ma sempre più considerati la meta da raggiungere pena la squalifica totale di se stessi.
Mi chiedo quindi, in che modo la sensazione di avere dei limiti e delle manchevolezze può trasformarsi nel dolore di essere imperfetti? E bada bene uso il verbo Essere e non “avere imperfezioni”, perché questo dolore, mi accorgo sempre più spesso, intacca profondamente la nostra essenza mettendo addirittura in dubbio il diritto ad esistere: “cosa ci faccio su questa terra se non riesco ad Essere Perfetto?”.
Questo pensiero è direttamente proporzionale all’altra grande inquietudine di credersi per questo motivo, ossia l’imperfezione, rifiutati e messi da parte.
Molte volte tutto ciò nasce da un errore di valutazione su quello che suscita la stima e quindi l’accettazione da parte degli altri: si pensa che sarà più facile ottenere il riconoscimento se si è perfetti, brillanti e irreprensibili.
Adler, allievo di Freud, fu uno dei primi a portare allo scoperto il senso di inferiorità insito dentro di noi: “essere umani, equivale a sentirsi inferiori”, scriveva. Per lui gran parte della motivazione che ci spinge ad agire per cercare di avere successo sarebbe dovuta al desiderio di superare questo sentimento di inferiorità.
Secondo l’intensità con cui lo viviamo, questo senso di inferiorità può essere una costante del nostro paesaggio mentale oppure presentarsi solo in determinate situazioni in cui si ha la sensazione di rivelare i propri limiti e punti fragili, come:
- Perdere ad un gioco
- Non sapere rispondere ad una domanda
- Fallire in presenza di altri oppure trovarsi in una situazione in cui si potrebbe fallire
- Avere meno cultura (laurea, diplomi, conoscenze specifiche …) degli altri, soprattutto se si è, o si crede di essere, gli unici in quella precisa situazione
Quello che amplifica il senso di inferiorità in queste situazioni è il fatto di ritenere che in questi casi non sia normale non sapere e se questo fosse recepito dagli altri ne conseguirebbe un istantaneo rifiuto.
Da qui quindi le strategie di dissimulazione che vanno dall’evitamento, tenendosi rigorosamente in disparte, al far finta di sapere e conoscere cercando di essere brillante ad ogni costo, mettendosi al centro della scena, perché non vengano messe in dubbio le nostre qualifiche.
Lo stratagemma del “far finta” ha però dei costi altissimi sia dal punto di vista emozionale che intellettuale portando solamente ad una sempre più grande sensazione di impostura, percezione già frequentemente provata da chi ha problemi di autostima.
Quel senso di essere un bluff, un due di picche di nessun valore, unito al timore, che in alcuni casi arriva al panico, di essere scoperti e messi a nudo per quello che si è: ossia un zero.
L’impostura che si mette in atto in questi casi non ha come obiettivo voler ingannare gli altri è solo cercare di coprire il grande vuoto che ci abita e che ci fa percepire indegni di stare in mezzo agli altri.
Quando si sceglie la menzogna per gestire i propri complessi e le proprie frustrazioni si è scelta solo apparentemente la strada più facile, in realtà questa decisione si fa ad ogni passo più complessa, colpevolizzante, generando ulteriore insicurezza.
La soluzione per liberarci da questo giogo di bugie sfibranti da alimentare e mantenere è l’autoaffermazione negativa, ossia abituarsi a poco a poco a mostrare le proprie debolezze e i propri limiti, le proprie imperfezioni, senza paura che ce ne derivi un rifiuto irrimediabile.
E’ dire IMPERFETTO è BELLO , è umano,è vivo!
“La perfezione è una dea ingessata, noiosa, costosa oltre ogni immaginazione […] Il perfezionismo uccide la creatività, corrode i rapporti interpersonali, distrugge la serenità interiore e scolpisce gli individui in detestabili sagome di cartone […]” *
Impariamo ad accettare le parti di noi inadeguate cercando di allargare lo sguardo, ricordandoci che esse non sono il nostro tutto.
“Il terreno del perfezionismo è quello dei fiori perfetti, uguali, potati regolarmente sempre e comunque allo tesso modo da una mano estranea che si pone come obiettivo solamente la loro morte: raccolti in un bel mazzo avvolto dal cellofan e decorati con un bel fiocco rosso. Il terreno della vita è quello dei fiori spontanei, attaccati alle loro radici, colorati dal sole, dalla luna, dalla pioggia, da vento, dalle forme irregolari ….”*
Affermiamo il diritto di sbagliare, di non sapere; di fermarsi, di cambiare idea, di deludere, di arrivare ad un risultato imperfetto!
* E.Giusti, O.Caputo – “La Perfetta Imperfezione” – Ed.Sovera