La vita spesso consiste nell’inseguire degli obiettivi.
Questi obiettivi possono essere a breve, medio o lungo termine, semplici o complessi e con tutte le gradazioni intermedie: preparare un pasto, trovare i soldi per comprare una casa nuova, allevare un figlio, imparare la meditazione, mettere in piedi una attività, formulare una filosofia politica, scolpire una statua, avere successo nel lavoro etc …
Più viviamo consapevolmente, più ci poniamo delle domande: “se questo è il mio obiettivo, che cosa devo fare per raggiungerlo? Quali informazioni mi occorrono? Con quali criteri giudicherò se sono sulla strada giusta o meno?”
Più agisco consapevolmente, più vado in cerca di informazioni utili al mio scopo. Meno agisco consapevolmente, meno considererò necessarie queste informazioni: crederò di sapere già tutto, e se non so qualcosa, sarò convinto che non faccia la differenza.
Le domande che dobbiamo porci sono quindi: “sono pronta a ricevere qualunque informazione che possa farmi cambiare percorso o correggere le mie supposizioni, oppure sono convinta di non aver nulla da imparare? Cerco continuamente nuovi dati utili, o chiudo gli occhi anche davanti all’evidenza?”.
Se esiste una indicazione certa di una vita priva di consapevolezza, è l’indifferenza alla domanda:” che cosa mi serve sapere (o imparare) per raggiungere i miei obiettivi?”
Questa indifferenza è strettamente correlata ad un mancato senso della realtà. Quando manca questo senso, quando mancano l’oggettività e la comprensione dei fatti, gli obiettivi vengono raggiunti con la fantasia e non con azioni appropriate.
Oltre ad assumersi la responsabilità di imparare quello che serve per raggiungere i propri obiettivi, la persona che vive consapevolmente è necessario che sappia dove si trova in ogni momento in relazione a questi stessi obiettivi.
Se ad esempio uno dei miei obiettivi è avere un matrimonio soddisfacente, quale è lo stato attuale del mio matrimonio? Lo so? Io e il mio compagno risponderemmo allo stesso modo? Siamo contenti l’uno dell’altro? Ci sono frustrazioni o questioni irrisolte tra noi? Se sì, cosa faccio per rimediare?
Oppure se uno dei miei obiettivi è fare l’artista, dove mi trovo attualmente rispetto alle mie aspirazioni? Sono più vicino di qualche anno fa? Ho motivo di credere che l’anno prossimo sarò ancora più vicino? Quale è il mio standard di giudizio?
Ora prova a pensare ad uno dei tuoi obiettivi a medio e lungo termine e chiediti dove sei in relazione ad esso rispetto ad un anno fa … hai fatto progressi? … da che cosa lo vedi? …
Vivere consapevolmente comporta anche verificare il rapporto tra gli obiettivi che si professano e il nostro comportamento quotidiano. A volte c’è incongruenza tra quelle che sosteniamo essere le nostre priorità e il modo in cui investiamo il nostro tempo e la nostra energia. A volte dedichiamo scarsissima attenzione alle cose che dichiariamo più importanti per noi, e tantissima a quelle che dichiariamo secondarie.
Questo può succedere perché spesso le nostre azioni riflettono una saggezza del subconscio superiore al nostro impegno ufficiale e cosciente.
Forse ci siamo proposti obiettivi che, in realtà, non sono funzionali ai nostri veri interessi, ed ecco perché ad un certo momento veniamo spinti in un’altra direzione.
Nel perseguire con concentrazione i nostri obiettivi proviamo anche a prestare attenzione non solo alle nostre azioni ma anche al loro esito.
“Le nostre azioni stanno producendo i risultati che ci aspettavamo?” A volte capita che esse siano perfettamente allineate con i nostri obiettivi, ma che abbiamo calcolato male le loro conseguenze.
Se operiamo meccanicamente, è facile non rendersene conto e continuare a ripetere azioni che non funzionano senza mai avvicinarci alla nostra destinazione.
Continuare a fare ancora quello che non ha funzionato non funzionerà. Ad esempio se siamo dei pubblicitari e i nostri annunci danno risultati drammaticamente al di sotto delle aspettative, forse dobbiamo riconsiderare il contenuto degli annunci, i media che abbiamo scelto, la nostra valutazione del mercato, forse la nostra stessa offerta.
Se tuttavia abbiamo un legame emotivo con una data posizione, ruolo, pratica o credenza, può essere arduo riesaminarla nonostante sia evidente che porta a risultati contrari alle nostre intenzioni. Spesso è più facile razionalizzare il fallimento cercando un capo espiatorio. Ammettere a che cosa portano in realtà le nostre idee e azioni può essere vissuto come un duro colpo alla nostra autostima.
Se però siamo abbastanza saggi da basare la nostra autostima non sull’”aver ragione” ma sull’essere autentici, congruenti e razionali, cioè consapevoli, allora sappiamo che riconoscere e correggere un errore non significa precipitare in un abisso, ma raggiungere una vetta che possiamo essere orgogliosi di aver scalato.