Proviamo a riflettere: quante volte ci capita di non essere presenti a quello che facciamo, di perderlo di vista?
Perdiamo di vista le nostre felicità. Tutte quelle domeniche in cui pensiamo al lunedì e non approfittiamo del riposo. Poi quei lunedì in cui rimpiangiamo di non esserci goduti il riposo.
Perdiamo di vista le piccole cose poco importanti. Tutte quelle volte che non ascoltiamo quello che ci dicono, che siamo assenti , altrove. Tutte le volte che siamo andati da qualche parte senza pensarci, inserendo il pilota automatico. Arriviamo e ci rendiamo conto di aver camminato o guidato senza essere in noi, in un altro universo: non nella realtà ma nel nostro stato d’animo.
Perdiamo di vista momenti importanti attraversati senza essere in noi. Perché la nostra mente è ingombra di tante cose e preoccupazioni che non siamo in grado di controllare né di allontanare.
A volte, è quasi tutta la nostra vita che si abitua a scorrere così, fuori di noi. E noi seguiamo, trotterellandole dietro, cercando di raccogliere i pezzi, di comporli in una costruzione coerente.
Ci sono molti modi di fuggire la nostra vita e di non essere presenti all’istante.
Possiamo rifugiarci in azioni inutili o utili diventando così prigionieri dell’azione. Certo, nella nostra vita occorre fare e agire. Ma siamo davvero consapevoli di tutti quei momenti in cui fare equivale a fuggire? Di quei momenti in cui ci buttiamo nell’azione non per costruire qualcosa bensì per evitare di provare qualcosa?
Possiamo rifugiarci, anche, nei rimuginii o nei sogni o nelle speranze, vivere avvolti nelle nostre chimere e nelle nostre attese, senza mai uscire a prendere una boccata d’aria nella vita leggera: leggera appunto perché senza attese, senza altra intenzione che quella di sentire e osservare cosa sia essere vivi e presenti.
Possiamo rifugiarci nelle certezze. Giudicare sempre e decidere cosa è bene e cosa è male, in noi e negli altri, in casa nostra e nella società. Insomma, irrigidirci nell’intento di incasellare sempre le nostre percezioni e le nostre esperienze, modificandole e deformandole, impediremo alla realtà di raggiungerci, di scuoterci, di cambiarci.
Possiamo perfino essere troppo centrati su noi stessi e non abbastanza su quello che succede intorno a noi. Vediamo solo le nostre sofferenze e i nostri dolori e dimentichiamo che in generale affliggono tutti gli esseri umani, o quasi. Volgere lo sguardo agli altri solo per confrontarsi (sono meglio? Sono peggio?) così da tornare sempre a noi.
Possiamo essere vittime di ripetuti furti di consapevolezza. La nostra epoca è caratterizzata dai furti di attenzione: le interruzioni della pubblicità, delle telefonate, degli sms o delle mail, ma anche l’abitudine ad essere “disponibili”. La mancanza di disponibilità e la tendenza a ritirarsi possono certo porre dei problemi, ma essere sempre pronti ad interrompere tutto per rispondere ad ogni forma di sollecitazione, non è altrettanto assurdo? In ogni caso può portare ad una frammentazione delle nostre capacità di attenzione: la possibilità di fare zapping se qualcosa non ci va e cambiare così le nostre idee ci porterà alla fine a non avere più nessuna idea.
Possiamo rifiutare di lasciar fare alla vita. E chiuderci in un problema o in uno pseudo-problema e non voler mollare la presa finchè non lo abbiamo risolto. E’ la cosiddetta “perseveranza nevrotica”. Prendiamo questo esempio : la ricerca delle chiavi perdute. Cercare le proprie chiavi per due minuti è un comportamento adeguato; cercarle per due ore lo è meno. E cercarle per tutto il giorno non lo è affatto. Meglio allora accettare di averle perse, aspettare, oppure orientarsi verso una soluzione che non sia quella di continuare a cercarle. In questo modo trasformiamo molte difficoltà che dovrebbero restare benigne in grossi problemi esistenziali. Quelle chiavi perdute diventano così l’incarnazione temporanea della mia sfortuna e del mio essere di vittima di un destino avverso.
E poi, possiamo semplicemente voler rifiutare il dolore di certi momenti della vita. Allora, di fronte agli stati d’animo dolorosi, possiamo reagire come un chirurgo: per sopprimere un problema facciamo un bel taglio e togliamo tutto. Per non provare quella tristezza o quella inquietudine evito di lasciarmi andare. Per non provare quello che è sgradevole, mi sforzo di non provare più niente del tutto. Mi blindo, mi indurisco. Mi privo del gusto della vita perché in passato è stato amaro.
Queste fughe non cambieranno la nostra esistenza; ci faranno solo pazientare, resistere fino ad una ulteriore esplosione, una crisi.
Senza essere presenti, né coscienti, come potremmo essere felici? Tutt’al più possiamo a volte essere sollevati, soddisfatti, non troppo infelici …..