Una riflessione che a prima vista può sembrare una contraddizione: la via verso la consapevolezza va mano nella mano con la fragilità che diventa risorsa nel quotidiano.
“In un’epoca che ha fatto del decisionismo e dell’arroganza delle virtù, sostenere che la fragilità è un valore umano potrebbe suonare come un’eresia. Eppure ogni giorno i piccoli passi e le grandi svolte della nostra vita ci insegnano che non sono affatto le dimostrazioni di forza a farci crescere, ma le nostre mille fragilità: tracce sincere della nostra umanità, che di volta in volta ci aiutano nell’affrontare le difficoltà, nel rispondere alle esigenze degli altri con partecipazione, aprendoci – quando serve – al loro dolore” (Prefazione all’”uomo di vetro” di V.Andreoli).
Se nel nostro cammino siamo arrivati al punto di avere riconosciuto e accettato la nostra imperfezione umana volendoci sentire “responsabili di” e non “colpevolizzati per” il passaggio successivo è valorizzare e celebrare la nostra fragilità.
La parola “fragilità” deriva dal verbo “frangere” ed indica la capacità di rompere una resistenza o un proposito per andare incontro a qualcos’altro; è il cancello che si varca per incontrare l’ignoto, la novità, la diversità.
Ecco come la strada verso la consapevolezza di noi stessi ha come compagna di viaggio la fragilità: mentre il senso di impotenza od onnipotenza ci piegano alla vita oscurando la percezione dei nostri limiti nel tentativo di imporci un ideale dell’io richiesto dall’esterno, la fragilità ci offre la possibilità di accedere alla mutevolezza della realtà. Mette alla prova la sicurezza infantile che ricerchiamo nelle nostre relazioni continuamente volte alla creazione o ri-creazione di quella “base sicura” residuo o miraggio della nostra infanzia. Inoltre ci aiuta ad attrezzarci per saper affrontare gli imprevisti che l’altro può mostrarci e ci suggerisce come stare nelle relazioni tirando fuori dall’imperfezione e l’ordinarietà del quotidiano quello che può essere nutriente per la nostra vita.
In questa ottica quindi la fragilità diventa un’alleata, una risorsa, ci apre parti di noi e anche dell’altro che non avevamo sperimentato offrendoci nuove direzioni e nuove sfide con noi stessi.
Secondo questo punto di vista perché allora non provare a considerare le nostre imperfezioni come elementi dissonanti che plasmano la nostra diversità, che caratterizzano la nostra originalità, togliendoci dall’omologazione imperante della società?
Accettiamo l’imprevisto, l’errore,il limite: recuperiamo le proiezioni lanciate per paura all’esterno di noi stessi, integriamo il nostro disobbediente “lato oscuro”, la parte nera della luna ,per accogliere una conoscenza realistica e più ampia di noi stessi. Tenendo sempre a mente che la fragilità non è debolezza, si pensi ad un vaso di cristallo, è fragile, sì, ma questa sua fragilità è una sua caratteristica strutturale, una caratteristica che lo rende prezioso, non è un difetto. È il vaso.