PRI-MA-VERA
dal latino: [primo] inizio [ver] primavera, da una radice indoeuropea col senso di ardente, splendente.
L’etimo ci rivela una considerazione solenne: la primavera è inizio. Inizio di splendore, per tutto, per tutti.
Nei cieli freddi spazzati dal vento si fa spazio un caldo sole; la terra grassa al risveglio dal letargo inizia a fremere e spuntano i primi nuovi fiori.
Le persone tornano ad uscire, vogliono levarsi i vestiti di dosso, riscoprono l’epidermico piacere del fuggire l’ombra.
Così, anche gli equilibri del cuore tendono ad allungare il giorno dei sentimenti, nuova energia di nascita e creazione fluisce intorno a noi, e dentro – ed è bene non farsela sfuggire, che ci metterà un anno a tornare.
Forse è il momento più sacro e tenero dell’immortale ciclo delle stagioni, l’occasione del riscatto.
E con questo incipit voglio ripostare un articolo che parla delle infinite rinascite della nostra vita e come il cambiamento si annuncia , nelle nostre vite, come l’inizio di una nuova stagione . Dapprima non ben definita , con improvvisi ritorni di nuvole, temporali e freddo ; ma nel momento in cui riusciamo a superare l’ansia e la tristezza per dover abbandonare il bozzolo caldo del nostro letargo, improvvisamente le nubi si squarciano lasciando il cielo sereno e il sole caldo che ci accarezza la pelle …..
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L’inizio del cambiamento è talvolta quasi impercettibile, un dettaglio: l’accenno, appena marcato, di una nuova forma, il lieve mutamento della voce oppure, più avanti nella vita, un capello bianco, una piccolissima ruga. Il nostro corpo ci parla tutti i giorni, ma dei cambiamenti della vita ci parlano anche i nostri segnali interni. La tristezza e l’ansia sono le emozioni di fondo di questo delicato momento di passaggio.
La tristezza ci avverte che ci stiamo separando da qualcosa, da un immagine di noi che ci ha accompagnato per lungo tempo, forse anche da abitudini, dai luoghi del mondo e dell’anima.
L’ansia ci mette sull’avviso, ci dice che dovremmo incontrare qualcosa di nuovo, il cui potenziale (buono o cattivo) non ci è ancora noto.
La tristezza è rivolta all’indietro, l’ansia guarda avanti. E noi siamo in mezzo, in una strana condizione di vita più mobile, meno definita, aperta a grandi speranze e a improvvise angosce.
Chissà come si sente il bambino nel canale del parto, quando ha già cominciato a lasciare l’utero materno ma non è ancora entrato completamente nel nuovo mondo. Si pensa addirittura che in questa condizione il piccolo viva emozioni molto intense, possa sentirsi espulso, possa sentirsi morire.
Trovare l’amore dopo la nascita è fondamentale.
E’ un’esperienza che ripara, commuove, tranquillizza, dispone all’apprendimento. Quante rinascite ci sono in una vita? Molte, moltissime. Alcune lievi, altre enormi. Alcune attese e felici, altre inattese e angoscianti.
Eppure quella matrice del parto ce la portiamo dentro tutti a ricordarci che, persa una condizione di vita, possiamo essere nuovi e felici in un’altra.
Quello che mi interessa di più come essere umano e professionista dell’aiuto è quella sorta di “terra di nessuno” in cui il cambiamento è nell’aria ma non si è ancora definito. Se ci attendiamo qualche cosa di buono è una condizione bellissima, piena di ebbrezza, dia una specie di “ansia buona” che ci promette una sorta di futuro “luminoso” e grande, come un presagio di primavera.
Se invece il paesaggio davanti ai nostri occhi è cupo e indistinto, il cambiamento si riempie di fantasmi, di rimproveri, di catastrofi, di impossibilità.
La tristezza può essere dolce, se sentiamo di lasciare indietro un po’ di noi per trovare, o cupa e depressiva , se temiamo al tempo stesso di perdere il passato e il futuro.
Molte cose possono influire sulla nostra percezione del cambiamento: le circostanze in cui esso avviene, il nostro carattere, le esperienze positive o negative della vita, la fiducia di fondo.
Anche chi non ha molte risorse personali per affrontarlo può trovare un strada per viverlo in modo meno drammatico e con maggiore speranza. Spesso questa strada passa per una condivisione autentica con gli altri (quelli che meritano fiducia, quelli da cui non si teme di essere giudicati in questo momento di fragilità).
Tutti gli esseri umani vengono al mondo nel “gruppo”, nella famiglia, hanno sin dall’inizio della vita una serie molto complessa di contatti con figure differenti (e se sono troppo protetti o esclusi da questi contatti spesso sviluppano paure per la vita).
La condivisione degli altri ci stende una passerella davanti agli occhi, un passaggio sull’abisso delle paure e dei fantasmi in cui potremmo temere di cadere e ci rende possibile sperare che, una volta superate le insidie del momento, la vita sarà migliore perché noi stessi lo saremo ….
liberamente tratto da:
S.Gastaldi – “La terapia degli affetti” – Ed.FrancoAngeli