Il titolo espone un’altra grande trappola che troviamo sulla strada per arrivare alla felicità. Ci siamo abituati a credere che fossimo amati per ciò che facevamo e non per ciò che eravamo. Così abbiamo preso l’abitudine di dire sì anche quando pensiamo no e di fare tante cose per comprare l’affetto e la riconoscenza.
Non abbiamo imparato a dire “No” quando lo volevamo, ed ancora meno adirlo con disinvoltura e senza aggressività. Di conseguenza, abbiamo spesso accumulato così tanti “Sì” insinceri, che finiamo, come una pentola a pressione sul fuoco, per esplodere, strillando un aggressivo “No!” in faccia al primo che capita, oppure implodiamo cadendo in preda allo sfinimento, al burn-out o alla depressione, o ancora ci assestiamo nella lamentosa litania della vittima, credendoci sfruttati da tutti e senza nessuna colpa.
E ci ritroviamo infelici! Innanzitutto, perché non siamo riusciti a dire “No” al momento giusto, né alla persona giusta; poi perché siamo esplosi così aggressivamente, spesso riversando le nostre frustrazioni accumulate, sulla persona sbagliata, che diventa il nostro capro espiatorio. Infine, perché noi stessi ci condanniamo senza pietà e senza appello.
Imparare a dire “No” non è facile per riuscire a dirlo in modo affermativo e non aggressivo, si tratta innanzitutto di ascoltare il bisogno dell’altro senza credersi immediatamente obbligati a soddisfarlo. Possiamo certamente contribuire alla sua soddisfazione per piacere, per desiderio, per amore, ma rimanendo consapevoli del fatto che l’altro è pienamente responsabile dei suoi bisogni.
Si tratta poi di ascoltarsi, per riconoscere i propri bisogni e, tra questi, le proprie priorità. Questa operazione consiste nel concedersi tempo e spazio. E non c’è niente che faccia così paura alle persone! Infatti, fare, agire, rispondere “sempre pronta!”, correre da tutte le parti per provare a guadagnarsi o mantenere l’approvazione degli altri, è molto spesso, inconsciamente, un modo di evitare di rimanere soli con se stessi. E’ un modo corretto, sul piano sociale e familiare, di essere nella fuga e non nell’incontro, e questo, sotto la più lodevole denominazione di dovere o di attenzione verso gli altri.
In fondo, non si tratta tanto di imparare a dire “No”, quanto di imparare a non fuggire né a rifuggire la relazione autentica. Con questo voglio sottolineare che si può andare incontro agli altri e dedicarsi alle proprie occupazioni e allo stesso tempo prendersi cura di sé e del proprio essere, senza cercare in ogni modo di fuggire e trascurare i propri bisogni.
Se poco alla volta ci sentiamo sempre più a nostro agio nel dire “No” quando vogliamo, può darsi che ci resti ancora da sviluppare la capacità di accogliere il No dell’altro, quando ci confrontiamo con esso. La vita nel momento in cui decidiamo di VIVERLA non ci risparmierà questo disagio:nessuno ci dirà Sì tutte le volte, e questo potrebbe essere spesso difficile da vivere.
Il pericolo è quello di rinunciare a noi stessi quando l’altro dice No, per sottometterci alle sue aspettative, oppure di interpretare il No come un rifiuto e quindi di ribellarci contrattaccando. Si crea così fuga o aggressione, di certo non l’incontro.
Quando l’altro ci dice No raramente ascoltiamo tranquillamente i suoi bisogni, ciò a cui dice di Sì, quando pronuncia un No.
Facciamo poi fatica a far valere i nostri bisogni per trovare una soluzione equa per entrambi. Ascoltare l’altro e trovare una soluzione rispettosa dei bisogni di entrambi, non sempre è comodo. Può volerci molto tempo, e costringerci a rinunciare a quello a cui teniamo o a lasciare la presa.
Abbiamo spesso la tendenza a privilegiare la facilità di argomentazioni, espresse come una raffica di proiettili del tipo “Ho ragione perché ….. Hai torto perché …..”; come in guerra, questo scambio di proiettili mira a spostare l’altro dalla sua posizione con la forza. Oppure preferiamo la facilità della rinuncia, con propositi del tipo “ Ok, ok, d’accordo, hai ragione. Lascio perdere e non ti chiedo più niente”, che puntano a trovare la pace attraverso la diserzione. In entrambi i casi siamo infelici per la nostra aggressività o per la nostra passività.
Negoziare o convivere con il No dell’altro, con determinazione e assertività, è tutta un’altra storia!
Così riuscire a dire “No”, in modo cosciente e non telecomandato dall’inconscio, come accettare il “No” dell’altro, presuppone il disagio di conoscersi nelle proprie fragilità e contraddizioni, di accogliersi nella propria impotenza e frustrazione, di sentirsi combattuti o lacerati tra scelte difficili.
Assumersi la responsabilità dei propri “No”, come dei propri “Sì”, accettando anche quelli degli altri, ci rende allo stesso tempo liberi e responsabili delle proprie scelte. Ecco secondo me la fonte di una delle più grandi gioie: il decidere della propria vita osando anche il rifiuto . E non vedo come potremmo vivere questo senza attraversare con coraggio ogni tipo di disagio.