Riflessioni per ri-trovarsi ...

Sbarazzarsi dalla paura dell’abbandono

cuore ferito 3

Eccoci forse alla parte più difficile del percorso verso la libertà dalla dipendenza affettiva: la paura dell’abbandono.

Una delle opinioni più diffuse in materia di dipendenza è che la causa profonda di quest’ultima affondi le radici nell’infanzia. Ogni dipendente affettivo ha seguito un suo percorso disseminato da insidie, che lo ha condotto a credere di non valere quanto gli altri, di dover fare i salti mortali per meritare di essere amato. Tuttavia il tipo di cammino che lo ha portato a convivere con il fardello dato dalla dipendenza affettiva non ha importanza; è tutta sua la responsabilità di liberarsi da questa morsa.

“Il senso di abbandono e le difficoltà che sopraggiungono in seguito alle separazioni sono inestricabilmente legate alla prima esperienza vissuta con la madre o con chi ne ha fatto le veci” (C.Rivest). Che si tratti di esperienze di rifiuto nel cortile della scuola, di umiliazioni subite dai compagni di un ambiente familiare carente, di esperienze reali o temute di abbandono, è chiaro che il bambino è un essere vulnerabile e permeabile a numerose ferite.

Quando accenniamo alla nostra paura dell’abbandono, non ne siamo mai fieri. Ci crediamo deboli, abbiamo paura di venire congedati dal nostro ruolo di amanti devoti. E’ tutto il contrario. Rivelare la nostra paura di essere abbandonati è un gesto che dimostra una buona conoscenza di sé e grande autenticità. E’ il primo passo per tenere a bada il fuggiasco che è in noi, che al primo segnale d’attacco si mette in salvo o si impegna anima e corpo a guardarsi bene le spalle.

Questa smisurata paura dell’abbandono, che paralizza il dipendente affettivo, si accompagna ad una collera repressa e a una rabbia che non ha mai potuto esprimersi. Probabilmente risale al giorno in cui i genitori si sono separati, secondo lui per colpa sua. Oppure al giorno in cui ha perduto qualcuno di così caro che tutto l’amore del mondo non è stato in grado di sostituire.

E’ possibile vivere con una perdita e sopravvivere a essa senza negarla. Non ritengo realistico cercare in qualcun altro quello che manca dentro di noi. E’ un esercizio di compensazione che non conduce da nessuna parte. Anche se abbiamo vissuto perdite importanti, c’è ancora posto per l’amore, per la tenerezza, per qualcosa di altro.

Tentando di compensare una perdita con una presenza, sprechiamo tempo ed energia. E’ più opportuno lasciare dentro di noi uno spazio per coloro che sono scomparsi e ancora più spazio per un nuovo amore o per un’amicizia che nasce. In questo modo viviamo il lutto di un mondo perfetto, una famiglia perfetta, e accettiamo che la vita abbia anche la sua parte di sofferenza.

Ripiegandoci su noi stessi e sviluppando una corazza così spessa che nessuno oserà avvicinarsi, non facciamo altro che privare il nostro essere del suo legittimo bisogno d’amore o di compagnia.

Per paura di essere rinnegati o abbandonati neghiamo noi stessi e ci abbandoniamo. Privarsi della tenerezza e dell’affetto di cui si ha tanto bisogno per paura di soffrire ancora è un po’ come mutilarsi il cuore. Sì il bambino che siamo stati avrebbe davvero avuto bisogno dell’adulto che non è mai tornato!

L’angoscia emotiva legata alla paura dell’abbandono è terribile e proprio perché fa così male usiamo tutti gli espedienti possibili per evitare di vivere questo strazio interiore così profondo.

Tuttavia, fintanto che la sfuggiremo, questa paura ci perseguiterà senza tregua. Per sopravviverle occorre affrontarla, analizzarla, guardarla bene in faccia a lungo. Quando urla dentro di noi, è la testa che parla al cuore.

Tutto il dolore che da così tanto tempo viene soffocato ha bisogno di essere evacuato attraverso le lacrime. Quando ce ne liberiamo, a liberarsi è un intero universo, disponibile ad un amore lucido e ad un’amicizia disinteressata.

Talvolta un buon pianto non è sufficiente, si tratta di un percorso che conduce all’accettazione; occorre lasciare la presa, abbandonare certe credenze sbagliate.

Prima di tutto questo, la tappa più importante è prendere coscienza di questa terribile paura dell’abbandono. Se la persona amata dovesse lasciarci, dopo che abbiamo dato tutto a questa relazione … Se la persona nella quale riponiamo più fiducia e con la quale condividiamo la vita dovrebbe esserci infedele … Se un giorno, senza aspettarcelo, al nostro ritorno dovessimo trovare la porta chiusa a chiave … Se lui non dovesse ritornare mai più …  Questi pensieri ci ossessionano giorno e notte, fino a quando non accettiamo la parte di rischio di una relazione.

Dopo aver preso coscienza, dopo esserci ricentrati su noi stessi invece di cercare di immobilizzare l’universo intero per placare la nostra insicurezza, c’è ancora qualcosa da fare. Dopo essere diventati più tolleranti nei confronti dell’imperfezione del mondo, dell’onnipresente rischio di perdere ad ogni secondo quello che credevamo nostro di diritto, c’è ancora qualcosa da fare.

ESSERE FIERI!  Fieri di quello che abbiamo compiuto fino a qui, nonostante la sofferenza, al di là delle umiliazioni, dell’angoscia e talvolta persino dell’abbandono vero e proprio. Abbiamo motivo di essere fieri: siamo cresciuti nonostante queste perdite, abbiamo preso forma, ci siamo rafforzati; siamo in vita, ci stiamo costruendo.

In ragione della sua paura dell’abbandono, il dipendente affettivo attraversa momenti di scoraggiamento e disperazione. Finisce con l’infliggersi sevizie affettive, ad esempio lasciare qualcuno che ama per paura di essere tradito. Nonostante tutta la sofferenza e l’angoscia emotiva che questo sentimento fa vivere, l’abbandono più penoso che si possa subire è quello di lasciarsi perdere da soli.

Non è facendo in modo che l’altro non si allontani di un millimetro che ci immunizziamo dall’abbandono, bensì assicurandoci che, qualunque cosa accada, come individui noi non ci abbandoneremo.

Sopravviviamo alle perdite, alla partenze e ai tradimenti sviluppando un amore incondizionato verso noi stessi, un amore verso il nostro essere imperfetti, affascinanti e coraggiosi. Attraverso queste prove, ci rendiamo conto di essere ancora lì a raccogliere i nostri cocci, a pulire le nostre zone sinistrate, ad aspettare giorni migliori. Nonostante tutte le sofferenze siamo ancora lì, vivi e vibranti animati da questo desiderio di vivere e i essere felici. Ne vale la pena! Abbiamo cercato ovunque l’amore perché sappiamo che ce lo meritiamo. Poi, incamminandoci, impariamo ad amarci di più. Diventiamo il nostro migliore amico, quello che c’è, che è presente persino nel cure della tempesta. Diventiamo il nostro genitore, quello che ricorda ogni tappa della nostra vita.

Siamo le persone meglio qualificate per coccolare il nostro bambino interiore, per acclamare il nostro coraggio e la nostra determinazione, per prometterci di prenderci cura di noi, qualunque cosa succeda. E’ così che generiamo l’amore di cui avremo tanto bisogno, agendo come un genitore pieno di tenerezza e capace di rispondere ai nostri bisogni. Siamo dunque pronti a tutto per farci piacere, siamo responsabili della nostra felicità.

Più prendiamo coscienza di avere il potere di agire e concretamente sulla nostra vita e di aiutare il bambino ferito in noi a ricostruire se stesso, meno ci lasciamo paralizzare dalla paura dell’abbandono, perché ora abbiamo il potere di prenderci un impegno verso noi stessi e di non abbandonarci più.

Adesso possiamo riporre fiducia nella vita. La nostra terribile paura dell’abbandono smetterà di incuterci timore. Progredendo, arriviamo ad averne abbastanza di essere ostaggio della paura; abbiamo solo voglia di stare bene ….

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