Il teatro interiore è il luogo dove si svolgono le scene della vita che chiedono di essere viste e sentite, per poter star bene con noi stessi e con gli altri.
Nell’ascolto della “voce interiore” si dona una casa alle nostre cose, si dona il giusto linguaggio al nostro bisogno di espressione per accettarsi e per essere accettati.
E nel teatro interiore a volte c’è molto disordine ed è proprio questo groviglio di sensazioni e di emozioni, di immagini e di suoni, che ci ferma e, indicandoci la fermata, fermata necessaria, non tanto per pensare, vuole dare valore a quel preciso momento della vita, affinchè si possa uscire dai luoghi comuni, da situazioni stagnanti, da proiezioni inutili, per raggiungere così dimensioni più rispettose del nostro modo di essere.
Siamo noi i registri del nostro teatro interiore e con ciò dobbiamo avere chiaro che siamo responsabili dei nostri atti, delle nostre scelte, del nostro modo di vivere, ma ciò presuppone anche il fatto che ogni atto, ogni scelta, ogni modo di vivere, dipendono dalle nostre possibilità e che queste presuppongono dei limiti.
Nel teatro interiore si mettono in scena le nostre identità, le nostre molteplicità, i nostri sentimenti, rendendoci immagini che viviamo come reali e che,ci offrono suggerimenti di senso e tutti chiedono di essere ascoltati.
E nel teatro interiore si mettono in scena, anche, i “sintomi” e i simboli: gli uni e gli altri strettamente intrecciati per indicare il nostro stato interiore attuale e per dare la possibilità di ri-soluzione dei dolori scatenati dai “sintomi” attraverso cui ildolore parla.
Accettazione o rifiuto dipendono quindi dalle nostre possibilità e dai nostri limiti: possibilità e limite ci sono dati non solo come strumenti cognitivi e volontari, ma soprattutto come elementi che dipendono dalla nostra capacità di porci in contatto con lcon la nstra parte più profonda. Allora si anima in noi quella capacità di trasformare radicalmente la visione della vita e la nostra prospettiva esistenziale prenderà nuove forme e nuovi colori.
In questo teatro interiore, con i suoi personaggi e nelle diverse scene, si costruisce l’identità che non è costituita solo dall’Io, ma dal Sé, quell’istanza che è così difficile da definire e da afferrare, ma è quella totalità così misteriosa e grande, così pregnante e inafferrabile, ma così vicina a noi, se sappiamo “vedere” e “sentire”.
Questa totalità è percepibile quando si crea il ponte tra ciò che pè visibile e comprensibile e ciò che non lo è ma vive nelle nostre profondità, quando diventiamo consapevoli delle nostre fatiche e sappiamo ascoltare la nostra vera e intima natura riuscendo a portare avanti percorsi di vita che non sviliscono i nostri progetti e non tradiscono le nostre spinte più interne.
Il senso delle cose si attua e si apre alla vita in diversi rivoli che si preparano per abbracciare le nostre inclinazioni, le nostre attitudini, il nostro sentire: qui sta il senso.
Vivere significa dare senso a ciò che si vive e, per vivere pienamente, ci vuole passione: con questa nascono anche il dolore e la gioia, ma senza la passione viene a mancare la linfa necessaria al dispiegamento della nostra Anima.
E il senso delle cose, a volte, anzi più spesso, si trova nelle piccole luci quotidiane, nei frammenti di vita, nei significati reconditi di sottili gesti, nelle visioni di forme impalpabili.
Certamente la vita è fatta di concretezza, ma luci e suoni, emozioni e sentimenti, sensazioni e intuizioni, possono sembrare poco concreti, invece sono il sale e il sole della vita.
Entrare nella concretezza della vita significa porsi in ascolto di sé e questo è l’unico modo possibile per attuare una vera vita, piena e gratificante che valga veramente la pena di essere vissuta …..