Ascoltarsi, rispettarsi e affermarsi …. anziché mentirsi

MAFALDA BASTA

I deficit di autostima portano spesso a soffocare le proprie aspirazioni e le proprie esigenze fondamentali, perché possono sembrare incompatibili con l’immenso bisogno di accettazione sociale, o sembrare meno necessarie: “Meglio rinunciare alle mie esigenze e sentirmi frustrata anziché esprimerle e correre il rischio di essere mal giudicata, fraintesa e alla fine rifiutata”.

Con il passare degli anni, le persone che procedono in questo modo con se stesse finiscono per non avvertire neppure più in modo cosciente il proprio bisogno di affermarsi: hanno totalmente rimosso la loro voglia di dire di no, il loro desiderio di prendere la parola, l’idea che potrebbero di re di no, osando farsi sentire , dicendo quello che vogliono o che pensano.

La negazione di sé rappresenta una forma di repressione nei confronti di se stessi che si estende anche alla negazione delle proprio emozioni. Delusa? Mai. Invidiosa? Mai. Infelice? Mai …..

Ma le nostre razionalizzazioni (“ in fondo, non ne ho veramente bisogno, o voglia”) possono imbrogliare la nostra mente, non le nostre emozioni: sono loro che ci impediscono di compiere quel piccolo crimine contro noi stessi rappresentato da tute queste rinunce.

Perché le nostre emozioni, invece, non rinunciano mai ad attivarsi: di solito ci fanno avvertire piccoli segnali fisici di tensione o di disagio. Sono quelli che il ricercatore nel campo della neurofisiologia Antonio Damasio chiama i “marcatori somatici”. Sono segnali che, anche se la nostra ragione vuole intrappolare i nostri interessi vitali, la parte emozionale del nostro cervello, più primaria, si oppone : “ e no, io non ne ho voglia!”.

E’ necessario,quindi imparare a dimostrarsi più attenti a questi piccoli segnali, a tutte queste discrete sensazioni fisiche nelle situazioni che ci mettono in gioco socialmente. Non è facile quando si sono passati anni a reprimere le proprie esigenze.

Rispettarsi, nell’ambito dell’autoaffermazione, significa rispettare le proprie attese, accogliendole ed ascoltandole, anziché reprimerle.

A forza di convincerci che è meglio rinunciare, finiamo per non accorgerci più che ci stiamo facendo violenza. Con la scusa di proteggerci dalle seccature e da un rifiuto, ci soffochiamo lentamente negandoci il Diritto di Esistere!

Anche in questo caso le conseguenza sono molteplici; oltre al costo emozionale vi è anche un costo comportamentale che consiste nell’evitare molti scambi sociali. Quando rinunciamo a chiedere un favore o a dire di no impediamo agli altri di sapere veramente chi siamo, di interessarsi a noi. E a quel punto ci priviamo di quelle forme di nutrimento relazionale di cui ogni essere umano ha bisogno. Non correndo alcun rischio nei nostri rapporti sociali, li rendiamo asettici e li impoveriamo.

In più, naturalmente, vi è anche un costo psicologico direttamente legato ai problemi di autostima: il mantenimento di un’immagine di sé inferiore a quella degli altri.

Mettendo in atto tutte queste riflessioni ,si giunge alla pratica di comportamenti assertivi. E’ tale pratica regolare che, da sola, permetterà di radicare nel profondo il cambiamento sperato. Nel profondo, vale a dire non necessariamente in un ipotetico inconscio, ma al livello dei nostri automatismi, e la cosa si realizza per gradi . Lanciandosi ogni tanto, qualche volta anche senza riuscirci, ma in questo caso riflettendo su quello che ci ha bloccato. All’inizio esercitandosi in esercizi che comportino un quasi nullo coinvolgimento relazionale, per poter a poco a poco dimostrarsi capaci di affermarsi anche quando è in gioco qualcosa di più importante.

I comportamenti assertivi è necessario che siano compatibili con il mantenimento di  un legame sociale che duri nel tempo ed è in questo senso che si differenziano dai comportamenti relazionali aggressivi. Non ci si afferma contro, ma per … Non contro gli altri ma per sé …L’obiettivo è crearsi un proprio posto, non prendere quello degli altri!

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