Mario Tessari – “Il Dolore” – olio su tavola
“Incominciai anche a capire che i dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità, ma per maturarci.” Hermann Hesse
L’esperienza del dolore fa parte della nostra vita, non è immaginabile una vita che non conosca il dolore: sia pure con modalità diverse e con diverse tonalità emozionali.
Certo il dolore è una esperienza soggettiva e solo chi lo prova può valutarne l’entità, l’intensità e la soglia di tolleranza, che cambiano di persone in persone, e di situazione in situazione.
Ogni discorso sul dolore, sull’esperienza soggettiva del dolore, si confronta con gli orizzonti sconfinati dell’indicibile e dell’inesprimibile. Del dolore del corpo e dell’anima non si dovrebbero occupare solo i medici, o gli addetti stretti ai lavori,ma anche, sia pure in modi diversi, quanti fra noi partecipano al mistero di vivere e del morire, e del dolore nel quale si riflettono l’un l’altro; e alla “cura”, che è una sfera più ampia che non quella della terapia, siamo chiamati tutti.
Il dolore ci conduce ad una situazione limite in cui la vita ci appare improvvisamente fragile e vulnerabile. Ma la speranza , quella che àncora l’anima che non deve essere confusa con le precarie speranze della vita, non muore se il dolore viene vissuto come uno degli elementi che fa parte della vita.
Il dolore, dice Hans Gadamer, filosofo tedesco allievo di Heidegger, nel suo libro “Il dolore. Valutazioni da un punto di vista medico, filosofico e terapeutico”, ci fa capire la vera dimensione della vita, ne fa riemergere il lato soggettivo, il lato esistenziale e ci confronta con la situazione emotiva originaria della vita: quella dell’angoscia, l’angoscia della morte, nascosta in ogni esperienza dolorosa che la dilata e l’accresce nelle sue infinite espressioni emozionali.
Il dolore, quindi, può essere distruttivo o produttivo: questi due momenti non possono essere separati; e in ogni caso è distruttivo nella misura in cui nel dolore il mondo scompare nel nulla, nel nulla dell’angoscia e nel nulla del timore della morte; mentre è produttivo nella misura in cui l’immaginazione, stimolata dalla sofferenza, crea qualcosa di nuovo.
Non per niente alcune teorie della cultura e dell’arte e della “ θεραπεία therapeía” artistica riconducono la nascita dell’oggetto artistico all’esperienza del dolore. Dolore “portato fuori” e fatto presenza viva da vedere, esplorare e trasformare.
Ognuno è solo, disperatamente solo di fronte al proprio dolore. Cambia anche il nostro modo di essere al mondo: cambiamo noi, e cambiano le attese e le speranze che sono in noi. Ci si sente sradicati, fuori dal tempo che cambia la sua naturalezza. Siamo in bilico tra il tempo dell’orologio e il tempo dell’io , fra kronos e kairos, che a volte fugge con la velocità del suono quasi non consentendoci alcuna riflessione e a volte si muove con lentezza esasperante immergendoci in vortici di pensieri immobili e pietrificati. Spesso il dolore ci isola dal passato e dal futuro, ci immerge nei luoghi del silenzio e della solitudine che ci rendono senza vita come pietre. Nel dolore si rispecchia il tempo infinito della disperazione. Non ogni dolore porta a questa desertificazione del tempo, a questa sua glaciazione, ma quando questo avviene è come se ci estraniassimo da noi stessi e naufragassimo negli abissi del nulla.
Il dolore non è solo un problema ma un mistero con il quale ci si confronta in modi radicalmente diversi a seconda lo consideriamo come cosa completamente senza senso o invece come segno, ambivalente e straziante, di una esperienza di vita che rimane dotata di senso.
Non esiste una sola esperienza di dolore; sulle prime quando si parla di dolore si pensa immediatamente al dolore fisico, al dolore che nasce dalle malattie del corpo, cercando di rimuovere dalla mente un dolore, a volte anche più straziante perché apparentemente senza sintomi visibili che è quello dell’anima. Il dolore del corpo lo si vede, lo si riconosce subito, lo si cura con medicine adeguate, e quando è scomparso lo si dimentica facilmente: non lascia traccia né nel cuore, né nella memoria.
Diverse sono le cose quando siamo sommersi, o siamo anche solo sfiorati, dal dolore dell’anima. Non lo si riconosce facilmente, tende a nascondersi, ad assumere maschere.
Il dolore dell’anima grida spesso solo nel silenzio.
Si parla molto nei giornali e nelle trasmissioni televisive del dolore del corpo, delle forme in cui si manifesta, ma si parla molto meno del dolore dell’anima, di quel dolore subdolo e insinuante che a volte porta a compiere atti sconsiderati verso di sé o verso altri. Questa è una sfida continua alla nostra coscienza e alla nostra responsabilità.
Sì il dolore dell’anima, come ho detto sopra, quello che vive nel silenzio del cuore di tante persone a cui molto spesso passiamo di fianco indifferenti, pieni di affanno per le cose talora banali della nostra vita.
Il dolore dell’anima in noi, in noi e negli altri, riconduce nell’interiorità l’esteriorità della nostra esperienza delle cose; e allora è necessaria educarci a riconoscerne le tracce in situazioni di vita dal dolore apparentemente lontane. Guardiamoci intorno e accogliamo la sofferenza, spesso silenziosa, di chi vive vicino a noi con il corpo ma tanto lontano dal cuore.
Non c’è bisogno di fare molto, basta Esserci come una sorta di “zattera” relazionale che raccolga e accolga le pietre scheggiate dal dolore.
Non tutti siamo educati o incoraggiati a seguire il cammino che porta agli abissi della nostra interiorità, ma tutti sperimentiamo durante la vita le ombre e le angosce del dolore. Solo conoscendo, o almeno cercando di conoscere, quello che avviene nei crepacci della nostra interiorità ci è possibile avvicinarci ad alcuni dei modi in cui il dolore e il tempo si uniscono consentendoci di restringere le distanze che separano il nostro destino dal destino degli altri.
“Il dolore è il gran maestro degli uomini. Sotto il suo soffio si sviluppano le anime.” M. von Ebner-Eschenbach