Vorrei oggi occuparmi un po’ di “coppia” e vista l’esperienza che sto vivendo nel seguirne una in un percorso di Counseling, voglio postare questo brano tratto dal libro “Ritrovarsi” (non a caso il mio blog si chiama così) di Edoardo Giusti . Ancora una volta tutto parte da noi , se non ci amiamo, se non ci ritroviamo, se non entriamo in intimità con noi sviluppando quel rapporto unico e speciale con noi stessi come possiamo pensare ad andare verso l’altro aspettandoci che sia l’altro a colmare le nostre lacune ???? “Non si può donare ciò che non si ha …”
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[…] Il senso di intimità è quasi sempre legato ai vissuti d’amore, amicizia, vicinanza, come espressione di attaccamento e di approfondimento.
La parola intimità, infatti, deriva dal latino “intimus”, un qualcosa di molto più interiore: un nucleo essenziale e segreto, il cui accesso è riservato a pochi eletti.
Esistono modalità e gradazioni differenti nell’espressione dell’intimità, legate sia ai diversi stili culturali che al sesso. Gli uomini, ad esempio, esprimono più apertamente l’intimità nell’amicizia, quando aumenta la distanza fisica; mentre, per la donna, essa è, in ogni caso, favorita da una distanza ravvicinata (contatto visivo, tattile). Tuttavia in comune vi è sempre un clima di calore umano e un senso di appartenenza, che agevolano il dispiegarsi dei sentimenti, sia nel rapporto d’amore passionale, che nella relazione d’amicizia profonda.
La base di sviluppo dell’intimità è data da una profonda e bilaterale partecipazione del proprio vissuto privato, da cui nascono reciproca compatibilità e senso di solidarietà.
Il vivere se stessi e l’altro come un “essere contigui” è alimentato da una intensa voglia di scambiarsi “informazioni” cognitive, affettive e di comportamento reciproco. In sostanza, ci si rivela all’altro nella propria interezza, preoccupandosi più di ciò che si riesce a dargli, che di ciò che gli si può prendere.
L’assenza di questa atmosfera, che caratterizza l’intimità, genera senso di solitudine, isolamento ed alienazione, non eliminati dal semplice convivere….. la vicinanza “geografica”, infatti, non restituisce quel particolare gusto dell’interdipendenza emotiva, dell’essere insieme nel mondo, affini e diversi nello stesso tempo, dato dall’intimità..
Altra componente fondamentale all’intimità è il Gioco. Non esiste relazione intima – d’amore o d’amicizia – senza il momento del gioco, senza l’abbandono ludico che nasce spontaneamente da una naturale regressione liberatrice e creativa. Ma perché nasca l’abbandono, occorre un presupposto essenziale e questo è la fiducia: una fiducia profonda prima di tutto in sé e di conseguenza negli altri e nella vita in genere. L’intimità, infatti, è un processo interpersonale, ma anche intrapsichico. “Non si può essere intimi con un altro se non lo si è con se stessi” a livello sia cognitivo che affettivo. Più riusciamo a conoscere il nostro “intimus”, meglio possiamo, “essere con” l’altro, crescendo interiormente attraverso l’esperienza dell’incontro ravvicinato.
La resistenza a sperimentare insieme l’interezza reciproca nasce, invece, da due paure fondamentali: il timore di “fondersi”, perdendo la propria identità, e quello di vivere il momento depressivo derivante da una eventuale separazione/abbandono. Entrambe riconducono alla essenziale paura di sentire, pensare, ri-sperimentare il Non Essere (solitudine – vuoto – nulla). L’incapacità di gestire l’ansia (della perdita/separazione) ci porta ad avere tanti “segreti”, a diffidare dell’altro, che viene vissuto come necessità costante, ma anche come minaccia sempre presente.
Non si può donare ciò che non si ha. Questo concetto così banale e così ovvio si applica, però, e con profonda, indiscussa validità anche alla relazione d’amore: possiamo trasmettere amore all’altro esclusivamente in proporzione all’amore che abbiamo per noi stessi. L’amore inoltre costituisce l’esperienza soggettiva per eccellenza, cosicchè ognuno di noi tende a costruire il proprio “stile” d’amore secondo priorità diverse, adatte a soddisfare i propri bisogni di sicurezza, affettività, emozioni, gioco, ragionevolezza ed erotismo. Così come è unico l’individuo, unico è il singolo stile d’amore; ma come vi è affinità tra diversi individui, altrettanto è possibile identificare alcune costanti preminenti, come denominatori comuni nei diversi stili d’amore. Anche se, a livello ideale, si vorrebbe ottenere il tutto e il meglio da una relazione, in realtà possiamo notare che, nell’arco della vita, pur attraverso i vari cambiamenti di crescita, ognuno ha creato le proprie relazioni d’amore secondo un modello che tende a ripetersi, privilegiando l’uno o l’altro elemento relazionale, nel desiderio o nell’attuazione del rapporto.
In questa società ad evoluzione costante, mantenere continuità di tempo in un rapporto intimo richiede sia arte che scienza, al di là delle naturali predisposizioni. Le poche relazioni che trasudano uno stato complessivo di felicità durevole, sono riuscite ad integrare la passione con l’amicizia. Pur mantenendo una certa individualità, la ricerca e l’investimento energetico reciproco erano sul NOI. Queste persone riconoscevano che talvolta l’IO ne risentiva, ma il successo del NOI ripagava ampiamente questi occasionali sacrifici personali. Così la coppia funzionava con vitalità in una atmosfera di intimità profonda, ricca di attenzione e rispetto reciproci, in cui i partners erano affascinati l’uno dall’altro, con sentimenti di esclusività e una calda attrazione sessuale.
Se riusciamo a configurarci il “senso di coppia” come una sorta di convivenza psichica, vediamo che si traduce in un vissuto di essere/avere “un compagno nella stanza a fianco”. Come quando vivendo sotto uno stesso tetto – contenuti dunque in un medesimo “interno” – ciascuno può operare da solo in una determinata stanza, ma nella calda consapevolezza che l’altra stanza NON E’ VUOTA, bensì ricca di un’altra presenza, non obbligata, ma in ogni momento liberamente raggiungibile e liberamente allontanabile. Così nella coppia psicologicamente matura, la consapevolezza della propria esistenza di coppia costituisce la “casa” calda e gratificante, il rassicurante interno/intimus “collettivo”. Ciascuno dei partners si sente allora contenuto in esso contemporaneamente sapendo di poter entrare/uscire dalle “stanze” (l’intimus individuale) secondo le rispettive libere esigenze. Anche uscendone, infatti, la “casa” permane come punto di riferimento e di continuità. In tal modo la sicurezza della agibilità dell’Altro placa la “fame di simbiosi” e rende capaci di vivere “fuori” di lui – cioè autonomi – e al tempo stesso a lui disponibili, in quanto liberi.[…]
Tratto da :
E.Giusti – “Ritrovarsi” – ed.Armando