Molte delle emozioni che viviamo nascono dal fatto che siamo in relazione con altri esseri, con individui o gruppi. Una delle caratteristiche delle emozioni è che ci mettono in collegamento con il mondo, anzi potremmo dire che fanno da ponte tra il nostro io e quello che sta al di fuori di noi.
Già da piccolissimi impariamo a riconoscere dal non verbale degli adulti che abbiamo intorno, la differenza tra piacere e dolore, tra paura e perplessità. Per sentirci in un mondo sicuro e accogliente, occorre che le persone che ci sono vicine siano coerenti in quello che dicono e nel come lo dicono.
I bambini percepiscono i segnali non verbali e per un certo periodo si basano solo su quelli. In una fase successiva, anche se non parlano ancora, imparano ad etichettare ciò che sentono dire e lo confrontano con sguardi, toni di voce, mimica del viso. Confrontando il detto al percepito, riconoscono e immagazzinano la sensazione di smarimmento se i due livelli sono in contraddizione.
Tutti noi impariamo prestissimo a riconoscere chi mente o chi cerca di camuffare le proprie emozioni. La coerenza tra i due livelli di comunicazione (verbale e non verbale) è un elemento di importanza vitale per il benessere mentale di ogni individuo.
Se una madre dice alla propria bambina: “lo so che sei capace di abbottonarti da sola il golfino” e poi frettolosamente con un sorrisetto lo abbottona lei stessa, questo crea sconcerto nella bimba che non riuscirà a chiedere alla mamma direttamente se ha fiducia o meno nelle sue capacità. Se poi il comportamento sarà frequente e diffuso a lungo andare la bambina potrebbe avere parecchi disagi circa la sua autostima/efficacia.
Successivamente riusciremo a distinguere anche quali possano essere le reazioni e le conseguenze che le singole emozioni si portano dietro, tuttavia può anche capitare di male interpretare i segnali che ci inviano le altre persone. Alcune emozioni sono accompagnate da messaggi chiarissimi, altre sono meno facili da decodificare. Possono scendere lacrime di gioia, di tristezza o anche di commozione oppure di rabbia, per decifrarli quindi occorre avere presente il contesto in cui i gesti si compiono.
Il clima sociale nel quale siamo inseriti non sempre stimola l’individuo a cogliere la propria parte emotiva, bensì incoraggia la persona a negare e anestetizzare le sensazioni che prova e a rendere formali le relazioni; del resto se pensiamo alla nostra esperienza, ci rendiamo conto che non è semplice vivere emozionandosi.
Se la persona nasce con una certa dose di istintività rispetto alle emozioni, è pur vero che senza un’educazione che parte dal proprio ambiente familiare per poi allargarsi al contesto sociale, senza dei modelli che sappiano comunicare il valore del “sentire” le esperienze, egli non sarà in grado di scegliere veramente. A questo si aggiunge il fatto che la società attuale è caratterizzata da un notevole sviluppo tecnologico, dalla sempre maggiore specializzazione delle competenze, dal bisogni di emergere e distinguersi. Tutto questo va di pari passo con l’ansia del “fare” e, in parallelo, con la perdita del “sentire”, dell’accogliersi e ascoltare.
La fretta e l’ansia da prestazione ci fanno correre, tanto che non abbiamo il tempo di assaporare quello che le relazioni e le situazioni ci offrono.
Tendiamo sempre più a riempire lo spazio (non solo temporale ma anche mentale) occupandolo con impegni e appuntamenti. Si tratta di un modo di essere che non riguarda solo la vita di noi adulti, ma che inevitabilmente proiettiamo sui figli che affidino a specialisti in grado di fornire loro competenze specifiche: corsi di musica, ballo, lingue, informatica etc. Se tutto questo può essere positivo e può rappresentare una alida risorsa per stare al passo con una società in continua trasformazione, allo stesso tempo rende la persona incapace di vivere le esperienze oltre che con la mente, anche con il cuore e con la “pancia” cioé di “sentirle”.
Chi si trova in questa situazione, in genere vaga come in cerca di una meta, di un punto d’arrivo che non trova proprio per l’incapacità di guardare oltre il visibile, oltre l’apparenza.
La nostra è una corsa continua per raggiungere mete e obiettivi, per realizzare noi stessi, spesso senza riuscirci veramente perché incapaci di vivere appieno quelle esperienze, di collocarle in uno spazio interiore dove possano essere elaborate e vissute emotivamente.
Un antidoto a tutto questo?
Autorizzatevi quotidianamente a dedicare del tempo a voi stessi e permettetelo anche ai vostri figli. Starete sicuramente pensando: ” dove trovo il tempo?” Non servono intere ore libere, è sufficiente un quarto d’ora, ma questo solo ed esclusivamente tutto vostro.
Lasciate che la vostra mente si senta libera, che il vostro cuore possa aprirsi facendo scorrere le sensazioni della giornata, ascoltatevi e accoglietevi come fareste con un bambini che ha bisogno di voi ….