Tutto ciò che abbiamo visto nei post precedenti ci ha portato alla conclusione che il vero nemico del perfezionista e proprio il suo perfezionismo e che la sola gara in cui egli può essere certo di arrivare primo è quella dello stress!
Il perfezionista è portato all’ansia, all’ostilità, a chiudersi in sé, a rattristarsi e deprimersi. Quando poi arriva ad una vera patologia, tende all’ossessività e rischia di sviluppare tendenze paranoiche.
Vediamo quindi quali semplici “rimedi” è possibile mettere in pratica per alleggerire il fardello e ri-trovare un migliore ben-essere.
ACCETTARSI è già un primo importante passo, ma non si tratta di accettare o rifiutare la propria natura così come è nella sua totalità. E’ possibile invece metterne in luce gli aspetti positivi, imparare a gestirla meglio riducendone così l’impatto negativo.
Pertanto, la ricerca del “pelo nell’uovo”, esasperante quando diventa “pedanteria”, è di grande aiuto se permette di individuare i dettagli utili alla riuscita di un progetto o, per dirla in maniera diversa, se si è in grado di distinguere tra la “sciocchezza” e il “dettaglio importante”. Cambia il punto di vista e ci si concentra su ciò che non va non tanto per criticare in maniera negativa e quindi distruttiva, bensì per migliora e concorrere al successo. Così facendo diventiamo persone di fiducia per quei compiti per cui occorre essere precisi e meticolosi, ottenendo apprezzamento per questa innegabile capacità di conseguire un miglioramento.
Un perfezionista “patologico” vede ciò che non va, biasima, fa la predica, impone. La confusione tra fine e mezzi lo rende spesso insopportabile. Anche un perfezionista “positivo” vede ciò che non va, ma ha un atteggiamento creativo, cerca nuovi modi per farlo funzionare e propone.
La differenza è evidente, sia per se stesso che per gli altri!
E’ dunque essenziale a questo punto ricollegarsi con il “principio di realtà”, prendendo in considerazione l’ambiente, il contesto e le capacità a disposizione, così da permettere un adattamento.
Abbandonare le alte sfere dell’idealismo astratto e tornare al pragmatismo presuppone avere ben chiaro ciò che si vuole e la sua potenziale fattibilità. “Voglio essere perfetto” non è un ideale realistico, perché esige qualcosa di impossibile che provoca perdita di contatto con i limiti e le possibilità.
Il buonsenso imporrebbe di agire con lucidità e dire: “Voglio ciò che non esiste. Perché prendersela di non riuscire ad ottenere qualcosa (o essere qualcuno) che non esiste?”. Detta così è semplice. Eppure sono tanti coloro che portano avanti questa ricerca indefinita e infinita.
Ho detto e torno a sottolineare che il perfezionista crede di “essere” perfetto nel momento in cui crede di “fare” qualcosa perfettamente. Cerca la perfezione al livello del “fare”, identificandosi con ciò che fa incorrendo nell’errore di scambiare il “fare” per l’”essere”. Poiché commette un errore, vuol dire che non è perfetto! Rieccoci dunque al punto di partenza, al quale si aggiungono denigrazione e rifiuto di sé.
Proseguiamo nel ragionamento anche se confina con l’assurdo ….
Scienza, tecnica, sport … tutto dimostra che un cambiamento in vista di una evoluzione o di un miglioramento è sempre possibile, anzi avviene costantemente. Se la perfezione è caratterizzata da ciò che arriva allo stadio finale, nel quale non c’è più nulla da aggiungere o da togliere, siamo già belli e condannati. Credendo di raggiungere la perfezione in un dato settore ci infliggiamo subito l’imperfezione, perché non cerchiamo più nessun altro nuovo modo di cambiare, di migliorare. E la terra continuerebbe a girare senza aspettarci, abbandonandoci alla nostra fossilizzante illusione!
Il principio di realtà ci ricorda quanto le sensazioni e il punto di vista personale siano importanti per il nostro modo di apprendere e descrivere ciò che è.
Talvolta siamo perfezionisti per influenze esterne: “In quel dato settore devo essere di una meticolosità estrema”. Per esempio, lo si dovrà essere nel lavoro di orologiaio, perché precisione e risultato sono tassativi, ma non così tanto nella vita privata, ossia in un altro contesto. In questo caso è utile chiedersi: “Ho scelto di diventare orologiaio perché mi piace la perfezione nel lavoro che svolgo o sono diventato perfezionista perché me lo impone il mio lavoro?”. Può essere che il “bisogna …” sia una sorta di alibi. Abbandonare il contesto specifico potrebbe anche permettere di ricreare un equilibrio.
Prendere in considerazione la realtà conduce ad identificare i settori della vita in cui si esercita il perfezionismo. Alcune persone concentrano il loro perfezionismo in un unico ambito e lo sono poco negli altri. Fintanto che la cosa costituisce uno sprone, va benissimo. Ma quando dilaga al punto da occultare tutto il resto, nasce un vero problema.
Le persone con cui è “impossibile vivere” sono quelle che permettono alle loro eccessive esigenze di interferire con il partner, la famiglia, gli amici, il lavoro … Non hanno più alcun senso del piacere. Anche il relax, la realizzazione, lo svago e le distrazioni diventano fonte di insoddisfazione e di nervosismo, di collera, di angoscia e di fallimento.
E’ davvero essenziale sottolinearlo: un perfezionista “patologico” rappresenta una situazione invivibile per queste persone e un grande peso per tutti gli altri.
Al contrario, quando è positivo può diventare uno splendido sprone … purchè abbia la capacità di stabilire i necessari limiti!! …
Concludendo questo breve viaggio nella “perfezione” : “Meglio di bene” o “meglio del meglio”?
Come abbiamo visto tra il perfezionismo funzionale e quello patologico è una questione di dosi nella visione del fine, nel modo di fare le cose e nella paura di non riuscire.
Per semplificare di seguito vi propongo un quadro riassuntivo delle due tipologie ricordandovi che va sempre tutto contestualizzato
Il perfezionista “funzionale” dice: “Voglio il meglio di bene”
- Sa prendere decisioni importanti e punta a livelli elevati ma precisi
- Competente e molto coscienzioso, lavora con metodo, attenzione e prudenza
- Dato che mira ad un risultato visto come massimo, può correre dei rischi, benché tema i cambiamenti troppo improvvisi perché ha bisogno di un ambiente sicuro. Per questo ha occhio per i dettagli, dedica molto tempo alla ricerca, accumula informazioni e analizza in maniera sistematica le situazioni.
- Sa mostrarsi creativo, ma è consapevole dei limiti (i suoi e quelli degli altri) e accetta l’idea di “insuccesso”
- Cercando di fare il meglio, riesce a trarre soddisfazione dai risultati conseguiti, perché il suo realismo gli permette di capire che “la perfezione non è di questo mondo”
- E’ in grado di imparare e di apprezzare gli sforzi compiuti, le capacità e i punti di forza.
- Poiché da valore alla qualità è apprezzato per il suo livello di esigenza il quale riflette attenzione e precisione
Il perfezionista “patologico” dice: “Voglio il meglio del meglio”
- Poichè vuole raggiungere la vetta ad ogni costo e rifiuta qualunque posto che non sia il primo, si odia se non primeggia e vive nell’ansia, nella paura, nella mancanza di gioia e di controllo. Stabilisce e persegue ideali rigidi, non realistici o impossibili da raggiungere, con i quali si raffronta e si identifica.
- Evita però le nuove esperienze: troppi rischi dovuti ad un eccessivo numero di possibilità di errore.
- Ricerca l’approvazione, vuole piacere; tuttavia, agendo in modalità “tutto o niente”, drammatizza le conseguenze di qualunque errore e vive nella critica o nell’autocritica costante ed eccessiva.
- Eterno insoddisfatto anche se fa qualcosa di eccellente, reagisce con notevole scetticismo o collera ai complimenti (e non sa farne)
- Poiché vede gli altri come aggressori, è particolarmente sulla difensiva nei confronti delle critiche.
Il suo universo deve essere senza difetti, pertanto fa un suo eccesivo della parola “dovere”; vuole sempre il meglio ed esige dagli altri lo stesso assoluto imperativo.