Come si sviluppa questa non-consapevolezza nel sentire le emozioni?
A livello psicologico le persone riescono più o meno ad automatizzare il processo di spostamento della propria attenzione mentale dalle emozioni vissute come destabilizzanti.
A livello fisico questa mancanza di consapevolezza si può indurre in due modi.
Uno di questi è restringendo il respiro, cioè riducendo l’inspirazione. Ad esempio se qualcosa ci spaventa all’improvviso in genere inspiriamo bruscamente e poi ci paralizziamo, rimanendo in apnea. Possiamo bloccare l’inspirazione o l’espirazione a seconda della emozione che stiamo combattendo in quel momento. Quando reprimiamo la collera tendiamo a bloccare l’espirazione. Tutti i genitori sanno che i bambini si impediscono di piangere trattenendo il fiato. Anche queste reazioni, a lungo andare, possono essere automatizzate: in questo modo la persona finisce per non esserne più consapevole.
Il secondo modo per reprimere fisicamente la consapevolezza consiste nel contrarre i muscoli che sarebbero mobilizzati se l’emozione venisse lasciata affiorare e fosse espressa. Per esempio, chi spesso blocca la collera in genere ha gli avambracci contratti, perché sono quelli che userebbe per sferrare il colpo se si permettesse di sfogarsi fisicamente. I muscoli che vengono tesi ripetutamente per bloccare le emozioni finiscono per rimanere cronicamente contratti, al punto che la contrazione diventa parte della struttura fisica. Questa è l’ “armatura” corporea di cui parlava Wilhelm Reich .
Quando nasce la non-consapevolezza?
Quando i genitori trasmettono l’impressione che certe emozioni siano “inaccettabili”, insegnano al bambino che per conservare il loro amore e la loro approvazione deve pagare il prezzo della non-consapevolezza.
Provo a fare alcuni esempi: un bambino cade, si fa male, e il padre gli dice:” gli uomini veri non piangono”. Come prima cosa il bambino impara a non far vedere quando sente male e poi, quando la repressione si fa più profonda, a non accorgersi di avere male. Una bambina è arrabbiata con il fratello e la mamma dice:” quello che senti è molto brutto. Non devi avere questi sentimenti”. Nella bambina, la capacità di provare collera non è estinta, ma semplicemente sepolta sotto il livello di consapevolezza, pronta a causare danni inimmaginabili più tardi nella vita, quando eromperà in apparenza senza giustificazione nei contesti più disparati.
I genitori emotivamente inibiti, del tutto estraniati dalla propria vita interiore, tendono a produrre figli emotivamente inibiti. Non è una regola, ma nella maggioranza dei casi è così.
Se i genitori sono convinti che certi pensieri ed emozioni siano “cattivi” e contagiano con questa idea i loro figli, questi ultimi possono legare la propria stima di sé all’idea di avere i pensieri e le emozioni “giuste”. Questo è un modo sicuro per indurre il terrore della propria vita interiore e delle proprie motivazioni e per imparare a censurare quello che “non va”, cioè proteggersi con una corazza di non-consapevolezza.
Per molti bambini i primi anni di vita sono pieni di esperienza spaventevoli e dolorose. Un bambino può avere genitori che non soddisfano mai il suo bisogno di essere toccato, abbracciato, coccolato, che litigano in continuazione, che evocano deliberatamente la paura e il senso di colpa come mezzo per esercitare il controllo, che oscillano tra una sollecitudine eccessiva e il disinteresse più totale, che lo trascurano, che lo criticano e rimproverano in continuazione, che lo sommergono di affermazioni strambe e contraddittorie, che si aspettano da lui cose in netto contrasto con le sue conoscenze o necessità, che lo sottopongono a violenza fisica, che scoraggiano i suoi sforzi per affermare se stesso. Il bambino può quindi vivere la propria paura, collera o sofferenza come mutilante e così, per sopravvivere e poter funzionare, impara l’intorpidimento fisico. Il contatto diretto con il proprio stato interiore è vissuto come insopportabile e pericoloso. La consapevolezza è vissuta come insopportabile e pericolosa.
Paura, dolore e collera non vengono riconosciuti, vissuti, espressi e quindi nemmeno abbandonati. Rimangono congelati nel corpo, barricati dietro mura di tensione fisica e psicologica. E si installa uno schema che andrà ripetendosi ogni volta che la persona è minacciata da un’emozione in grado di intaccare l’equilibrio dell’intorpidimento.
Tuttavia non reprimiamo solo i sentimenti negativi. Quando si viene anestetizzati in preparazione ad un intervento chirurgico, non è solo la capacità di sentire dolore a venire sospesa, ma anche quella di provare piacere. Lo stesso accade con la repressione emotiva.
Ovviamente la repressione si può attuare in vari gradi a seconda di quello che vogliamo sotterrare. Ma una cosa vale per tutti, e cioè che diminuire la capacità di sentire il dolore vuol dire anche la capacità di provare piacere …..
se ti va continua a seguirmi …..