La mia idea di un incontro sano è quella di due persone centrate su se stesse che dividono il loro cammino senza rinunciare a chi sono. Se non sono centrata su me stessa è come se non esistessi. Se non so chi sono, se non rispondo a questa prima domanda, come potrò incontrarti sul mio cammino?
Ma è difficile accettare questa idea dell’amore, soprattutto perché va contro tutto quello che abbiamo imparato. La società cerca in molti modi di insegnarci a privilegiare il prossimo. Ci viene detto, per esempio, che se stiamo insieme a qualcuno qualunque cosa sia importante per lui deve esserlo anche per te.
Ogni volta che dico che dovremmo accettare il fatto di essere il centro della nostra esistenza e che il nostro punto di vista è più importante di quello degli altri, qualcuno sbotta indignato:” questo è un modo di pensare egocentrico!”. Io rispondo: “Non proprio’ egocentrico, bensì “egocentrato”. E per di più è salutare che lo sia. Il male non è essere centrati su se stessi. Quello che è folle è voler essere il centro della vita di un altro”.
Inevitabilmente, per apprendere questa idea dell’incontro bisogna avere il coraggio di essere protagonisti della propria vita, perché se manca il protagonista, non si può fare il film. “Tu puoi essere molto importante nella mia vita, posso volerti bene ed essere disposta a cedere un poco, oltre me stessa, amo anche te; però non voglio essere obbligata a scegliere tra i due … Scommetto con tutto il cuore su noi due. Ma se mi costringerai a scegliere fra me e te … sceglierò me….”
Non bisogna confondere l’espressione di questo sano egoismo, che io preferisco chiamare “egocentrismo”, con il comportamento dei miserabili, gli avidi o gli avari che sono un’altra cosa.
Parlando di me, ripeto sempre la stessa cosa: mi dà tanta soddisfazione compiacere le persone che amo e, da vera egoista, non voglio rinunciarvi. Questo lo chiamo egoismo solidale. Non voglio smettere di allietare la vita, alleggerire il cammino e colmare di sorrisi le facce di chi mi sta intorno. Ma non lo faccio per loro, lo faccio per me. E c’è una bella differenza.
Se io facessi una cosa per te, non potrei continuare a sostenere il valore dell’autodipendenza. Il mio comportamento non dipenderebbe da me, bensì da quello di cui hai bisogno e allora, poco a poco, senza rendermene conto, comincerei a diventare dipendente.
Tutto comincia quando smetto di fare qualcosa perché credo che non ti farebbe piacere o ne faccio un’altra perché so che è quello che ti aspetti da me. Se nel mio desiderio di compiacerti sono diventata dipendente, ci saranno ogni volta sempre più cose alle quali sarò costretta a rinunciare. E non credo che questo porti a niente di buono.
Quell’idea tanto legata alla religione cristiana “amerai il prossimo tuo come te stesso”, non deve essere interpretata se non per ciò che è. Essa non dice “amerai il prossimo tuo “più” di te stesso”, bensì “come” suggerendo che questo è il massimo che uno può pretendere dal suo amore per il prossimo.
L’amore per gli altri si crea e si nutre ma comincia da quello verso se stessi. Quanto più mi godo la mia vita, quanto più piacere sono in grado di provare, tanto maggiore è la mia capacità di innamorarmi di me stessa e degli altri.