L’odio verso se stessi alimenta il risentimento e la violenza contro gli altri in una maniera abbastanza prevedibile: cerchiamo di trasferire i nostri cattivi sentimenti su altre persone in modo da sentirci meno cattivi.
Scaricare l’aggressività sugli altri è un sistema classico per provare ad alleviare la vergogna e il non amore verso se stessi che spesso vengono fuori nella relazione. Come ad esempio una moglie che fa un a secca osservazione la marito perché guida troppo veloce. Se lui la prende come un rimprovero, si può scatenare la sua critica interna; allora, per difendersi dal sentimento del cattivo sé, trasforma invece lei nel cattivo latro. Controbatte, biasimandola perché lo tormenta. Adesso è lei a provare il sentimento del cattivo sé e per schivare la critica prova a sua volta a fare di lui il cattivo altro: “perché sei sempre così sulla difensiva?”. Lui ribatte:”perché sei sempre così critica?”.
Questo è quello che le coppie fanno tutto il tempo: lanciarsi il cattivo sé come una patata bollente. Non fa meraviglia quindi che ai coniugi interessi tanto avere ragione anche se ciò distrugge il loro rapporto. Avere ragione infatti è un modo per cercare di deviare gli attacchi della critica con il suo odio verso se stessi e la sua vergogna paralizzante.
Detto questo possiamo anche riconsiderare tutti quei “difetti” che ci paiono pesanti stigmate inscritte dentro di noi, come sintomi del fatto che non si sa di essere amati.
E così la gelosia sorge soltanto da una mancanza di fiducia nell’essere amati: in qualche modo la vita ama gli altri più di me. Analogamente l’egocentrismo. L’arroganza e l’orgoglio sono tentativi di renderci importanti o speciali, un trucco per nascondere la mancanza di vero amore verso noi stessi. L’egocentrismo è un modo per tentare di far sì che il mondo ruoti intorno al “me”, per compensare una paura sotterranea di non essere in fondo affatto importante. Se ci sentissimo amati, senz’altro non ci capiterebbe mai di non avere importanza.
Dietro tutte le nostre parti buie sta il dolore di un cuore ferito. Ci comportiamo “male” perchè interiormente soffriamo. E soffriamo perché la nostra natura è fondamentalmente aperta e tenera. La buona notizia è che tutte le cose di cui ci vergogniamo, tutti i nostri cosiddetti “peccati” sono soltanto tigri di carta. Guardate il ringhio della tigre e troverete un bambino triste , solo e disperato che si sente scollegato dall’amore.
Il percorso dall’odio per se stessi all’amore per se stessi presuppone incontrare, accettare e accogliere l’essere che siamo. Questo inizia con il permettere a noi stessi di fare la nostra esperienza senza giudizio e critica. Permettere a noi stessi di fare la nostra esperienza può essere un’impresa molto difficile, dal momento che nessuno ci ha mai insegnato come relazionarci in modo sincero e diretto con quello che proviamo. Fare la nostra esperienza vuol dire conoscere e assumere attivamente quel che proviamo ed aprirci ad esso.
Il fatto di entrare consapevolmente in contatto con un sentimento “Sì, è questo il sentimento che c’è”, inizia a liberarci dalla sua morsa. Se possiamo aprirci alla nostra paura e concentrare la nostra attenzione sull’esperienza dell’apertura in sé, alla fine potremmo scoprire qualcosa di meraviglioso: la nostra apertura è più potente degli stessi sentimenti. L’apertura alla paura è molto più grande e forte della paura in sé. Questa scoperta ci mette in relazione con la nostra capacità di forza, stabilità e comprensione riguardo a qualsiasi cosa stiamo attraversando e questa è “sofferenza consapevole”.
Non importa quanto dolorosi e spaventosi possono apparire i nostri sentimenti, la nostra volontà di confrontarci con essi fa emergere la nostra forza e ci conduce ad un orientamento più positivo nei confronti della vita.
Come le immobili profondità oceaniche stanno nascoste sotto le onde in tempesta sulla superficie delle acque, così il potere della nostra vera natura resta nascosto dietro i nostri turbinosi sentimenti. Combatterli ci fa solo agitare sulla superficie tempestosa; agitarci tra le onde ci impedisce di andare al di sotto di esse e di accedere al potere, al calore e all’apertura del cuore.
Permettere a noi stessi di fare la nostra esperienza, invece, ci consente di cavalcare o scivolare sulle onde invece che farcene portare via. In questi momenti ci siamo, ci siamo per noi stessi, per come ci sentiamo proprio ora e questo è un profondo atto di amore verso se stessi.
In che modo quindi fare amicizia con i nostri sentimenti esattamente come sono in questo momento indipendentemente dalla loro difficoltà?
Prima cosa cominciare a riconoscere quello che sta succedendo senza giudizio e senza cerca di liberarsene.
Adesso concedere ai sentimenti di essere lì dando loro tutto lo spazio di cui hanno bisogno in questo modo si permette al sentimento di esistere, così com’è, senza tensioni o resistenze.
Ora possiamo andare un po’ oltre e provare a vedere se possiamo aprirci fino a provare direttamente il non amore, senza innalzare alcuna barriera contro di esso.
Un passo ulteriore sta nell’entrare con la nostra consapevolezza proprio nel centro del sentimento, ammorbidendoci in esso così da essere tutt’uno con l’emozione.
Se la ferita del non amore è un dolore non digerito dall’infanzia, allora permettere a noi stessi di sperimentarlo con una presenza incondizionata è un modo per digerire il vecchio dolore.
Essere presenti a noi stessi in questa maniera è un atto d’amore che pare la porta verso le nostre più profonde risorse. Quando ci mostriamo alla nostra esperienza, il nostro essere si mostra a noi, in questo modo si fa l’esperienza di “tornare a casa da noi stessi” mettendoci così in contatto con tutte le nostre risorse.
Tornando a casa da noi stessi e dalle nostre risorse, scopriamo quello che è più vero di qualsiasi giudizio si possa esprimere su di sé: che andiamo bene some siamo e scoprire questo aiuta ad apprezzare la nostra vita pur con tutte le sue difficoltà.
Permettere a noi stessi di avere la nostra esperienza è la porta d’accesso all’accettazione e all’amore di sé …..