Continuiamo il nostro viaggio nell’universo paterno ….
I comportamenti che i padri hanno avuto nei nostri confronti, si possono leggere attraverso uno schema generale, ai cui estremi troviamo le definizioni di “buono” e “cattivo”, intesi nella loro capacità di fare bene il ruolo del genitore.
Semplificando un po’ possiamo dire che avere una relazione danneggiante con nostro padre ci può portare a diventare donne timide, schive,fragili, oppure, per reazione, esibizioniste, ipercritiche, aggressive; mentre se abbiamo potuto godere di un buon rapporto con lui, più facilmente cresciamo fiduciose, espansive, aperte, allegre, comunicative e spontanee.
Ovviamente tutto questo va poi contestualizzato e applicato alla diversa capacità che ognuna di noi ha di fronteggiare le “cose” della vita.
Voglio anche aggiungere che sia i padri troppo “assenti” che quelli troppo “presenti” possono diventare per le figlie ormai adulte, un alibi per non assumere su loro stesse la responsabilità “paterna” della loro vita, attribuendone al padre il ruolo assoluto di carnefice o salvatore. (anche per questo vedi sopra …)
Negli anni dell’adolescenza, la relazione con n ostro padre diventano molto importanti per la costruzione della nostra identità femminile e per i nostri successivi rapporti sentimentali; il punto di svolta sta nella gestione del conflitto con lui: si possono, infatti, creare con lui rapporti costruttivi, distruttivi o a-conflittuali che ci portano a sviluppare diverse tipologie di comportamenti e ci fanno apparire, agli occhi del padre, una figlia “brava” o “cattiva”.
Un padre è “presente”, quando ha una relazione emotiva e affettiva significativa con la figlia e sa svolge, anche una funzione normativa positiva, dando regole e limiti; è una persona davvero interessata a noi, comprensiva, comunicativa, disponibile. E’ grazie ad un padre di questo tipo che sviluppiamo, al nostro interno, un Animus, cioè un Maschile che ci accompagnerà poi nelle scelte esistenziali che affronteremo da adulte.
Se un padre è “presente” la figlia, può sviluppare un sano comportamento oppositivo positivo e si stabilisce tra loro un rapporto costruttivo: c’è una visione matura e non idealizzata del proprio padre, con un’accettazione dei suoi limiti e un riconoscimento del suo valore per quello che è.
La figlia “oppositiva positiva” fa del confronto con il padre uno strumento utile per la sua crescita: il conflitto è positivo, costruttivo, mediato da un forte legame affettivo. La figlia è onesta con il padre, affettuosa, disponibile, aperta, ma anche caparbia e ostinata, perché cerca di affermare il proprio “Io” e la propria personalità, anche nei suoi confronti.
Il padre “assente” è quello non presente nella vita della figlia, né dal punto di vista fisico né affettivo, totalmente disinteressato a lei. Spesso sono uomini egocentrici, molto occupati professionalmente o con relazioni extraconiugali che li distraggono dalla figlia o troppo problematici, e quindi instabili, inaffidabili, anaffettivi, o ripiegati su se stessi e insoddisfatti della propria vita.
Con un padre “assente” sviluppiamo un comportamento da figlia “oppositiva negativa”: distante, distaccata emotivamente da lui, ostile, scontrosa, insofferente e indisciplinata, facciamo del rifiuto e dell’isolamento il nostro comportamento principale nei suoi confronti.
La relazione padre-figlia è in questo caso irrigidita dal conflitto, sterile, infruttuosa: noi ci illudiamo di costruire la nostra indipendenza che è, invece, falsa, perché poggia sul terreno instabile della contro dipendenza: e cioè solo una reazione al dolore che proviamo. Non nasce da un autentico amore per la libertà e non porta ad una reale autonomia.
A volte poi il conflitto tra i due è così pesante da rendere impossibile e inesistente la relazione stessa e spesso, di fronte a questo vuoto affettivo, la figlia va alla ricerca spasmodica, e inevitabilmente fallimentare, di uomini come sostituti paterni, che sappiano svolgere una funzione compensatoria di appoggio.
Le donne che si sono sentite poco amate dal padre, infatti, tendono ad accumulare, nella loro vita, un inesauribile bisogno di risarcimento affettivo che presentano, inevitabilmente, ai loro fidanzati come un credito sentimentale che pretendono di riscuotere e che è, però, inesigibile.
Rischiano, inoltre, di essere madri competitive con le loro figlie di cui sono gelose per l’amore del marito/padre. Per loro l’amore è “bisogno” e condannano le loro relazioni sentimentali a diventar prigioni in cui entrambi i partner sono , contemporaneamente, vittima e carnefice.
“ … ci sono uomini che non sono degni di essere chiamati papà e così a fatica li chiamiamo padri e siccome questo gruppo è vario, conieremo una nuova parola “padrepapà”. Quei “padri papà” che abusano sessualmente delle proprie figlie, che le picchiano violentemente, che vanno a letto con le loro amiche, che le rinnegano per il dio denaro, che le fanno soffrire di povertà dopo la separazione dalla moglie… Padripapà che sono morti e a cui non si può più dire nulla …. Padripapà che la amano troppo o che desiderano avere una figlia come fosse il personaggio di un film e continuano a trattarla come tale, provando una continua delusione perché la figlia non è ciò che loro vogliono … Padripapà che scaricano la rabbia spaccando ogni cosa, senza preoccuparsi della figlia che sta lì a guardare… Lo sapete cosa desidera di più una donna con una padre inadeguato? … un ABBRACCIO … tranquillizzatevi uomini … abbiamo capito che quell’abbraccio non potrà mai venire da voi, ma, sviluppando il nostro maschile interno, un giorno, forse, potremo darcelo da sole senza cercarlo all’esterno ….” (da un percorso di crescita personale)
…. E non è ancora finito, seguitemi nei prossimi post …..
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Liberamente tratto da:
M.Morganti – Figlie di padri scomodi – Ed.FrancoAngeli