Proviamo ora a percorrere le varie tappe della costruzione della nostra identità femminile rapportandoci alla relazione con nostro padre durante le fasi della nostra crescita.
Quando la relazione padre-figlia è equilibrata, la costruzione della nostra identità personale si sviluppa armonicamente lungo un percorso, chiaramente definito: dall’infanzia all’adolescenza.
Nell’infanzia quando il rapporto con nostro padre funziona, lo viviamo in modo molto positivo, come se fossimo in una fiaba: la relazione con lui sta tutta nella dimensione del gioco e c’è con il papà una forte intimità fisica e psicologica. Il legame è spontaneo, naturale, esclusivo, vissuto intensamente come se fosse un amore sentimentale: lui rappresenta il nostro “principe azzurro”, l’eroe “senza macchia e senza paura”. E’ ai nostri occhi fonte di protezione e di aiuto, ci fa da guida, consigliere, rifugio emotivo, ma anche interprete e portavoce delle regole, del rispetto, dei diritti e dei doveri nel mondo esterno.
Con la pre-adolescenza, verso gli 11-12 anni, inizia per ognuna di noi un graduale e lento processo di disillusione nei confronti di nostro padre che continuerà, poi, nell’adolescenza.
E’ la fase della separazione, della scoperta dei limiti paterni, del riconoscimento della sua persona “umana”, con i suoi predi e i suoi difetti. Questo processo di distacco da lui si accompagna alla nostra crescente autonomia e responsabilità: cominciamo a sperimentare la nostra libertà personale discutendo, per esempio, con lui sugli orari di rientro e uscita di casa o sugli amici che vogliamo frequentare.
Gradualmente, si fanno sempre più chiare le richieste di una maggiore autonomia, di uno spazio personale dove poter esprimere i nostri interessi e giocarci la nostra vita lontano dallo sguardo paterno. Vogliamo esprimere le nostre idee su progetti futuri, cominciano le prime prese di posizione in caso di rimprovero o di osservazioni critiche fatte da lui e nascono i primi litigi, le difficoltà di dialogo e anche un certo allontanamento fisico.
Arriviamo così all’adolescenza, caratterizzata da sentimenti e comportamenti di ribellione espliciti verso le regole, i doveri, gli orari per le uscite serali.
L’autonomia ricercata in modo inconsapevole nella pre-adolescenza, diventa ora, l’obiettivo principale. In questo periodo c’è anche un allontanamento emotivo da parte di entrambi, legato alla sessualità nascente della figlia diventata “donna”, che fa nascere in nostro padre un certo disagio nel relazionarsi con noi.
Il legame con nostro padre può evolvere naturalmente o no, secondo la sua disponibilità a cambiare accettando e valorizzando il nostro diventare donne. Solo così diventa possibile, per noi figlie, sviluppare al nostro interno l’autoaccettazione e l’autostima necessarie per entrare in rapporto, in futuro, ad altri uomini con la giusta apertura/difesa e, anche, per maturare una personale responsabilità verso la nostra vita.
Questo vuol dire che nostro padre è necessario che si renda disponibile ad un dialogo affettivo con noi basato su un atteggiamento critico tuttavia incoraggiante e orientativo, un ascolto attivo, una condivisione dei problemi, una collaborazione, un contatto e una vicinanza.
In altre parole , deve saper accogliere in modo emotivo, dentro di sé, l’aspetto femminile della sua vita, il contatto con le sue emozioni più profonde, solo così saprà essere realmente vicino emotivamente a sua figlia.
Se invece è un uomo abituato a nascondere, a se stesso e agli altri, i propri sentimenti ed emozioni, finirà con lo svalutare o ignorare la figlia, come arma di difesa inconscia contro una intimità che sente pericolosa, perché esiste sempre il rischio di una possibile e inconsapevole attrazione sessuale nei suoi confronti.
Quando il padre ignora o svaluta la figlia, può accadere che anche la figlia possa rifiutarlo a sua volta come reazione al dolore che sente, oppure che ricerchi in altri uomini dei sostituti paterni, per compensare il padre perduto idealmente …. “papà ancora una volta mi trovo ad amare un uomo che ha bisogno della mia forza! Non ce la faccio più! Sento gli stessi meccanismi di sempre, che ora so essere nevrotici: senso di colpa se mi sottraggo, sopravvalutazione della mia forza. Lo so che proprio lui l’ho scelto perché eri “tu”, ma ora mi rendo conto che è una follia: volevo salvare lui, per non aver salvato te. Capisco che proprio questa missione di “salvare un uomo” è il danno che mi hai lasciato e che stringe la mia anima come un cappio al collo … Papà io ti ho amato perché la tua anima era grande, conteneva la poesia e la musica, i sogni e le passioni. Per questo soffrivo e combattevo per te … ora mi innamoro di uomini irrisolti e tendo la mano per curare la loro ferita … ma ho visto l’abuso. L’abuso che adesso riconosco in te e di cui ti perdono, perché è strettamente legato all’amore immenso che mi hai dato, senza il quale non sarei la donna che sono: forte, calda, sicura di sé. Ho visto l’abuso chiaramente: il non essere vista dall’altro. Il non essere ascoltata ma solo usata per sé …..” ( da un percorso di crescita personale)
…. e al prossimo post l’epilogo ….
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Liberamente tratto da:
M.Morganti – Figlie di padri scomodi – Ed.FrancoAngeli