Trovare una misura

fusione

“Il controllo assoluto su un altro essere umano non è possibile e tantomeno auspicabile. Ed è sempre distruttivo. Uno dei grandi miti sul vero amore vorrebbe che le vite di un uomo e di una donna fossero intrecciate per sempre, incamminate sulla stessa via, protese verso le stesse mete e i medesimi interessi, e che ogni istante di separazione fosse per loro un’eternità. Quand’anche ciò fosse possibile, a me sembra tristissimo!Sentirsi uniti, protetti, solidali è un sentimento del tutto naturale. Ma diventa un problema quando noi ne facciamo un’esigenza esclusiva. Chi focalizza il proprio amore su un unico soggetto ha difficoltà nei suoi rapporti con gli altri. Constatare che le persone che amiamo sanno amare, oltre a essere amate, dovrebbe essere un conforto, non una minaccia ….” (Leo Buscaglia – Vivere, amare, capirsi – )

Il primo passo verso la risoluzione delle dipendenze affettive è certamente riconoscere di avere un problema. Esistono, dei confini estremamente sottili tra ciò che in una coppia è normale e ciò che, nell’abitudine cronica, diviene dipendenza. La difficoltà nell’individuazione del problema risiede anche nei modelli di amore che, come si è detto, una persona affettivamente dipendente conserva nella propria memoria e che fanno ritenere determinati abusi e sacrifici di sé come “normali” in nome dell’amore.

Secondo passo: chiedere aiuto, ci si può avvalere del supporto psicologico individuale, a volte può essere necessaria una psicoterapia, ma ciò che è certamente utile per velocizzare e stabilizzare i miglioramenti è il confronto in gruppo tra persone che vivono lo stesso problema perché ciò consente di prendere un impegno con gli altri, davanti agli altri e di cominciare a riconoscere le distorsioni della realtà, grazie alle somiglianze della propria vita con la vita altrui che consentono di vincere le difese che non permettono di vedere la verità sulla propria storia personale.

Spesso, paradossalmente, è la “speranza” che fa sopravvivere il problema e che tende a cronicizzarlo: la speranza in un cambiamento impossibile, soprattutto in un contesto relazionale in cui si sono consolidati, e persino pietrificati, dei ruoli e dei copioni da cui è, più o meno, impossibile uscire. Così, paradossalmente, l’inizio del cambiamento arriva quando si raggiunge il fondo e si sperimenta la disperazione, che rappresenta la possibilità di sotterrare le illusioni che hanno nutrito a lungo il rapporto patologico.

Come ho detto all’inizio la descrizione del dipendente affettivo e del suo annullamento nell’altro secondo lo schema ebbrezza, dose e perdita dell’io è praticamente identica a quello dell’innamorato, perduto in un mondo parallelo, dimentico del resto, concentrato ossessivamente sull’oggetto unico e insostituibile del suo amore. Dove è la differenza? Perché una è una bolla bellissima che tutti guardano con invidia e l’altra, invece, è un’orrenda prigione dove si consuma un copione di dolore e annientamento?

Tra l’innamoramento e la dipendenza, tra la passione e l’annullamento, come ho scritto più sopra, il confine è labilissimo. Per questo poi è così difficile capire dove comincia una cosa e dove finisce l’altra. Si può provare, però, a mettere dei paletti.

Il primo riguarda il considerare da quanto tempo dura la simbiosi. Un rapporto fusionale è pressoché inevitabile nella fase iniziale di una relazione, poi però, se dà il passo e l’andatura a tutta la storia, se si mangia via ogni possibile evoluzione e cambiamento, allora, forse, c’è qualcosa che non va.

Secondo paletto: la quantità. Un rapporto d’amore tenderà almeno un po’ alla fusione simbiotica ma non deve tenderci troppo. Un esempio concreto: cercare di stare il più possibile con l’altro è una faccenda connaturata con l’amore; stare solo e soltanto con lui rifiutando ostinatamente qualunque altro contatto è una cosa cui prestare attenzione.

Ricapitolando: non troppo e non troppo a lungo, altrimenti forse siamo davanti ad un problema di dipendenza, forse dobbiamo drizzare le antenne.

Però non è ancora sufficiente. Troppo è un concetto abbastanza relativo: come si può misurare davvero se il limite è stato superato, se stiamo deragliando verso qualcosa di distruttivo e malsano?

Qui c’è una regola infallibile; bisogna misurare la sofferenza che si sente . Più soffro, più amo è il modello dell’amore per noi occidentali. Ce lo hanno passato, tra l’altro, secoli e secoli di letteratura e svariati decenni di cinema, canzoni e televisione. Tutti più o meno, volenti o nolenti, prendiamo questa malsana equazione come punto di riferimento assoluto.

Avere consapevolezza vuol dire cercare di capire sempre quello che ci succede, ascoltarsi e sentire riconoscere le note dissonanti, vuol dire non crogiolarcisi dentro, vuol dire immaginare che è possibile anche diversamente.

Il modello dell’amore come annullamento è terribilmente seducente. Non c’è niente da fare, se guardi Adele H. di Truffaut, pensi che quella donna, una delle più grandi drogate d’amore della storia del cinema, una che insegue un uomo che nemmeno la vuole fino all’altro capo del mondo, è pazza, ma ne rimani completamente affascinato e stregato.

Si tratta, in conclusione, di trovare una misura. Si tratta di mantenere sempre un punto di vista critico. Si tratta di continue triangolazioni e aggiustamenti per trovare la giusta distanza con le cose, con i modelli per portarle nella propria vita in modo creativo e personale.

……. e non abbiamo ancora finito, se ti va continua a seguirmi …..

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