Varie mail mi hanno sollecitato a scrivere questo post per illustrare quella che è una delle sindromi “molto gettonate” ai nostri giorni: “il complesso di Peter Pan”, il “puer aeternus” che non vuole crescere, che è rimasto fermo alla propria infanzia dove tutto è bello, tutto è possibile. Incapace di fare i conti con la realtà, rifiuta di calarsi nel mondo, con le limitazioni che questo comporta. Pur non costituendo una malattia mentale la sindrome di Peter Pan è un modo di funzionamento della psiche che, per quanto si possa vivere “bene”, rischia di condurre alla depressione o di creare seri problemi di relazione con gli altri.
Il nome deriva dal titolo del libro scritto da James Matthew Barrie “Peter Pan, o il ragazzo che non voleva crescere” in cui il protagonista è un ragazzo invincibile dotato di poteri magici che porta i bambini Wendy, John e Michael nel “Paese Che Non C’E’”, paese a cui gli adulti non possono accedere.
Le vicende che si susseguono sono un alternarsi di sogno e di incubo: i bambini devono far fronte a situazioni diverse, dalla lotta coi pirati al superamento di varie prove, ma nonostante feroci battaglie non viene mai sparso del sangue, il bene trionfa sul male e ogni vicenda ha un lieto fine.
Il Paese Che Non C’E’ è un mondo lontano dalla realtà, dove i piccoli non sono tenuti ad obbedire ai genitori, e che per Peter Pan costituisce l’unica realtà esistente. Peter Pan, negando che la vita vera sia una grande avventura, non riconosce niente altro al di fuori del suo regno e questo è il motivo per cui, alla fine, respinge l’offerta della madre di Wendy di andare a vivere nella loro famiglia.
A seconda dell’infanzia che abbiamo avuto ci siamo formati un’idea di quello che vuol dire essere adulti. Se siamo cresciuti in un ambiente in cui i grandi erano persone sensibili che si godevano la vita e che sembravano padroneggiare gli eventi, diventare adulti era per noi una cosa da attendere con impazienza.
Se, invece, i grandi ci apparivano depressi e senza più entusiasmo, o sempre di cattivo umore, la prospettiva della maturità ci doveva apparire abbastanza scoraggiante.
Il fatto che i bambini abbiano una conoscenza limitata delle possibilità offerte dalla vita restringe la loro visione del mondo, rendendoli così incapaci di scorgere le opportunità esistenti da cui trarre il meglio, almeno finchè la loro visione rimarrà circoscritta. Essi vivono in un mondo piccolo dove l’ignoto e l’inspiegabile sono spaventosi ed evocano poteri mistici al di là del loro controllo. Solo quando affrontano e superano nuove situazioni e difficoltà, i bambini imparano a trarre dall’esperienza conoscenze aggiuntive utili ad allargare gli orizzonti del loro mondo.
Se però una persona viene esposta ad un eccesso di situazioni traumatiche, è possibile osservare il movimento opposto, cioè il distacco graduale dal mondo esterno con la delimitazione dei confini da non superare.
Invece di vivere le trasformazioni psicologiche naturali dell’adolescenza, le persone affette dalla sindrome di Peter Pan passano direttamente dall’infanzia all’età adulta senza passare per la fase adolescenziale. In altri termini, la persona colpita cresce normalmente, la sua intelligenza si sviluppa, ma il suo cuore resta bloccato nell’infanzia, come Peter Pan che vive immerso in un mondo meraviglioso, lontano dai problemi dei grandi…
Quali sono i principali sintomi??
Anche se gli adulti sono giunti all’età dei trent’anni o addirittura sono vicini ai quaranta, continuano a comportarsi come bambini. Normalmente queste persone sembrano essere sicure di se stesse ed addirittura mostrano una certa arroganza; ad ogni modo, questa è solo una corazza per nascondere le loro insicurezze e l’incapacità decisionale. Queste persone si nascondono dietro le scuse e le menzogne con l’obiettivo di nascondere la loro incapacità di crescere; parlano normalmente di progetti fantastici, affari incredibili, grandi avventure amorose…Queste fantasie (nella maggior parte dei casi impossibili da realizzarsi) permettono loro di sfuggire alle loro responsabilità e poter così dare la colpa agli altri delle cose negative che accadono loro.
- Si sentono profondamente sedotti dalla giovinezza, fase che mantengono idealizzata tentando di negare la propria maturità.
- Paura della solitudine.
- Profonda insicurezza e bassa autostima.
- Il loro atteggiamento si concentra nel ricevere, chiedere e criticare ma non si preoccupano di dare o fare. Questo fa sì che vivano concentrati in se stessi e nelle loro problematiche senza preoccuparsi troppo per ciò che succede alle persone intorno a loro.
- Considerano che il compromesso sia un ostacolo alla loro libertà.
- Non si prendono la responsabilità delle proprie azioni mentre gli altri devono farlo per loro.
- Si sentono continuamente insoddisfatti di ciò che hanno ma non prendono nessuna iniziativa per risolvere la situazione. In parole povere potremmo dire che sono persone che vogliono tutto, ma non desiderano fare nulla per ottenerlo.
Vediamo ora le paure , perché di grandi PAURE si tratta, che stanno alla base di questa situazione di blocco:
- La paura di esplorare il mondo al di fuori della propria realtà
- La paura di prendersi la responsabilità delle proprie azioni
- La paura di dire di “NO”
- La paura dell’autorità
- La paura di entrare in una nuova fase
Iniziamo ad esplorare il primo punto “la paura di esplorare il mondo al di fuori della propria realtà”.
Ognuno di noi costruisce la propria realtà e si forma un’immagine mentale di come funziona il mondo per sé e per gli altri, così che ogni immagine è unica . Comunicando con un’altra persona, impariamo a conoscere la sua realtà, scoprendo fino a che punto le due immagini si sovrappongono e in che misura differiscono.
Se percepiamo la realtà in maniera simile all’altro, è più probabile che stringiamo amicizia rispetto al caso in cui le nostre interpretazioni del mondo divergano ampiamente. Trovare un’altra persona che condivida il nostro atteggiamento nei confronti della vita è piacevole e confortante perché convalida e rafforza il nostro punto di vista, rassicurandoci nell’autostima. Più persone sono d’accordo con noi e meglio ci sentiamo, sempre più certi di essere dalla parte della ragione.
Di conseguenza tutto quello che è al di fuori della nostra realtà viene considerata una sgradevole e non desiderata intrusione da guardare con sospetto.
Più tempo si sta con quelli che la pensano come noi, e meno si ha la possibilità di allargare i propri orizzonti, e al contempo sarà più probabile farsi turbare da situazioni che escono dai confini della nostra realtà. Questo non significa che sia sbagliato o dannoso condividere le opinioni di molte persone, anzi, tutti noi abbiamo bisogno di sentirci accettati e appoggiati dagli altri. Il punto è che ogni tanto risulta importantissimo avventurarsi al di fuori del proprio contesto, altrimenti si rimane fossilizzati e si diventa inflessibili.
Passiamo ora al secondo punto: “la paura di prendersi la responsabilità delle proprie azioni”.
Nella vita noi tutti dobbiamo fare delle scelte, dalle decisioni quotidiane per il fine settimana o per l’acquisto di un nuovo vestito a quelle più impegnative come l’acquisto di una macchina, la scelta se mettere al mondo un figlio o della carriera professionale da intraprendere.
Da piccoli, ci sentiamo sollevati se i grandi prendono le decisioni per noi, anche se a volte le scelte degli adulti possono non piacerci, ci sentiamo sempre tutelati nella consapevolezza che, se qualcosa va storto, la colpa non sarà mai nostra perché le decisioni non le abbiamo prese noi.
Alcune persone non abbandonano mai questo abito mentale di addossare le responsabilità a qualcun altro; del resto, sentirsi dare la colpa per un errore o per una svista è un’esperienza spiacevole. Più piccola è la stima che si ha di se stessi e più alte sono le probabilità che si cerchi di negare l’errore o che qualcun altro faccia da capro espiatorio, invece di riconoscere la decisione sbagliata e prendersene la responsabilità.
Una famiglia in cui i genitori rimproverano aspramente il bambino per tutti gli errori che commette senza dargli la possibilità di spiegare le sue ragion i può portare, nella vita adulta, alla sua paura di farsi carico delle responsabilità, semplicemente perché a quell’età gli sarà ben radicata in mente l’idea che se qualcosa va storto ci saranno conseguenze spiacevoli.
Resta comunque il fatto che prima o poi è necessario renderci indipendenti dai genitori e cominciare ad assumere le decisioni e soprattutto la responsabilità delle nostre azioni…..
Per gli altri punti seguimi nel prossimo post ….