Mi riporta una cliente: “Fidarsi? Già non ho abbastanza fiducia in me … sono troppo fragile per dare fiducia agli altri … Mi sento incapace di protestare quando mi sfruttano. Incapace di ribellarmi se mi tradiscono. Molte volte, nella mia vita, sono stata l’ultima a capire che venivo ingannata. Dal momento che dubito di me, fornisco sempre agli altri delle buone ragioni, suppongo che i miei dubbi non siano infondati, che i miei sospetti siano ingiustificati. Il mio segnale d’allarme di fronte agli abusi si è anestetizzato. Quindi oggi evito di dare fiducia per rifuggire dalla delusione e dal tradimento. Mi rendo conto che è un fatto che mi isola e mi priva di molte cose. Ma preferisco essere sola e diffidente che accettata ma tratta in inganno…”
La fiducia? E’ una intuizione, a volte una decisione, e una speranza. E’ una forma di ottimismo, centrata sui rapporti sociali: al pari dell’ottimismo, non è un modo di essere ciechi di fronte alle difficoltà, ma una tranquillità di fronte all’assenza di un problema manifesto. Mentre l’ottimismo non modifica necessariamente le situazioni materiali, la fiducia può farlo: dare fiducia a qualcuno può incitarlo a migliorare.
Le radici della capacità di dare fiducia risiedono con ogni evidenza nel nostro passato: avere avuto genitori affidabili, non aver vissuto tradimenti dolorosi dopo aver investito o rivelato molto possono essere i due fattori principali. Ma esistono anche molti fattori più legati al presente, che costituiscono un insieme più complesso.
In primo luogo, i motivi per dare fiducia possono essere opposti: possiamo dare fiducia per fragilità personale, perché tendiamo ad idealizzare gli altri, o a metterci in una posizione di fragilità o di dipendenza nei loro confronti.
Possiamo anche dare fiducia perché ci sentiamo abbastanza forti da poter sopportare o riparare un eventuale tradimento”gli do una possibilità ..”. Poter accordare la propria fiducia agli altri dipende chiaramente dalla fiducia che abbiamo in noi stessi: potremo essere portati ad accordarla o rifiutarla in modo inadeguato, in funzione delle nostre attese di rassicurazione o di ammirazione più che dalla calma valutazione dei nostri interlocutori o della situazione.
Possono inoltre entrare in gioco ulteriori elementi; ad esempio di natura psicologica. La fiducia è molto influenzata dalla vita emozionale; logicamente è facilitata dalle emozioni positive e ostacolata da quelle negative. Provare spesso tristezza, rabbia, inquietudine, può indurre una diffidenza sistematica verso gli altri basata sulla paura ( è il caso di persone che soffrono di fobie sociali), il pessimismo ( è il caso dei depressi), o la proiezione dei propri cattivi pensieri e delle proprie visioni negative dell ‘umanità (è il caso degli scorbutici e dei collerici, sempre in preda al risentimento).
In certi casi, l’incapacità di dare fiducia dipende da una patologia psichiatrica: l’esempio più calzante è fornito dai paranoici, convinti che nessuno, nemmeno le persone a loro più vicine, meriti fiducia. Per loro c’è chi ha tradito, chi si appresta a tradire o lo sta facendo, e quelli che prima o poi tradiranno ….. Infine ci sono anche i sinistrati dei rapporti umani, sempre delusi dagli altri. E quelli che hanno sofferto di tradimenti o di carenze, quelli che sono stati cresciuti dai loro genitori nel culto della diffidenza.
Dare fiducia agli altri: non è rischioso?
Certo, ma vi sono anche molti rischi nel non dare fiducia. I rischi della diffidenza sono forse meno visibili, meno immediati di quelli della fiducia, ma sono altrettanto reali.
Evitare di dare fiducia significa dedicare molte energie a diffidare, osservare, sorvegliare, verificare, temporeggiare. Significa vivere in una tensione fisica e in una visione negativa del mondo, allo stesso modo estenuante e nociva. Significa fare fatica ad abbassare la guardia quando potremmo farlo. Certo, ciò consente di evitare determinati raggiri o determinate delusioni. Ma a quale prezzo?
La fiducia ovviamente presuppone che si accetti un rischio sociale relativo, quello dell’inganno e della doppiezza dei nostri interlocutori, in cambio di un beneficio tangibile, che è quello della qualità della vita.
Ma allora sarebbe meglio dare fiducia a priori?
Se quello che ci prefiggiamo è la qualità della vita, la risposta è sì. D’altro canto è però inutile esporsi in modo gratuito alla delusione e allo sfruttamento. Come sempre, la soluzione sta nella flessibilità: dipende da noi essere capaci di regolare il grado di fiducia concessa agli altri, non in funzione delle nostre fragilità (dubbi, angosce, paura di non essere capaci di difenderci) ma in funzione del contesto o della natura dei nostri interlocutori. Questo richiede anche lo sforzo di capire che, in certi casi, il fatto di essere venuti meno alla fiducia che avevamo concesso può anche essere dovuto alla goffaggine o all’incompensione, anziché alla malevolenza e al cinismo.
Il risultato è lo stesso? Forse lo è dal punto di vista materiale ed emozionale (sul momento), ma non per quello che è la nostra visione dell’umanità.