Fin dal momento in cui apre gli occhi sul mondo che lo circonda, il bambino inizia ad essere condizionato. Entra in contatto con una realtà: l’ambiente. Con rapporti privilegiati: la famiglia. Con suoni, odori, colori, emozioni.
Fin dal momento in cui capisce le parole, memorizza ordini: “No così!”, “Attento che cadi!”, “Così va bene , continua”, “Cattivo!”, “Bravo!”.
Poco a poco il suo mondo prende forma; il bene e il male, il vero e il falso, il bello e il brutto, i valori importanti e quelli da rifiutare, quello che è desiderabile , quello che non lo è ….
Gli viene così comunicata la “realtà”, filtrata dalla percezione e dall’interpretazione di chi lo circonda. Talvolta il bambino si rende conto che qualcosa non va, che quanto vede e ascolta o prova non coincide davvero con ciò che gli viene descritto. Nella maggior parte dei casi, però, accetta l’interpretazione che gli viene trasmessa e non osa dire nulla.
Pertanto, crescendo questa persona si aspetterà che la realtà incontrata coincida con quella che gli è stata descritta. Quando poi si accorgerà che così non è, sceglierà forse di prendersela con la vita, con gli altri, con se stesso per aver “ricevuto” qualcosa di diverso da quanto si aspettava.
Molte sono le credenze errate, tanti i miti cui siamo legati e che ci impediscono di vivere bene.
Una di queste è la credenza secondo cui “i miei genitori avrebbero dovuto darmi quello che i genitori devono dare”: amore, stabilità, norme, valori, formazione e tante altre cose. Dal momento che, “da come la vedo io”, così non è stato, ho il diritto di comportarmi da vittima, di portare loro rancore, di rinunciare a comportarmi da essere umano responsabile.
Accettare quello che è significa tener conto di quello che i miei genitori hanno ricevuto, quello di cui loro stessi sono stati privati. Significa inoltre mettere in evidenza quello che mi hanno dato e magari anche quello che mi hanno permesso di superare a causa delle mancanze che avverto.
Questo mito è simile a quello che consiste nel non accettare le sofferenze o le frustrazioni della vita, con la scusa che devo essere felice, che le sventure a me non devono capitare!
Le grandi teorie psicologiche hanno tentato di identificare e dare un nome a queste credenze errate che impediscono agli uomini di vedere la realtà. Eric Berne, fondatore dell’Analisi Transazionale, ha evidenziato cinque credenze errate che funzionano come lenti deformanti davanti alla realtà, producendo illusioni e sofferenza. Credenze instillate da quelle famose ingiunzioni verbali o non verbali a cui siamo sottoposti da bambini e che saranno poi la causa delle nostre decisioni di “copione”.
E’ necessario compiacere gli altri, indipendentemente da quanto avvertiamo. Sulla base di questa credenza numerose persone, soprattutto noi donne, immaginano che essendo “sempre disponibili”, ignorando i propri bisogni e le proprie sensazioni saranno amate e ricercate.
Vivere con questa convinzione significa negare la realtà, vuol dire attrarre a sé soprattutto individui egocentrici che vogliono essere serviti e accuditi.
Accettare la realtà,significa essere consapevoli che ciascuno è necessario si assuma la responsabilità della propria vita e che ogni essere umano possiede bisogni, sensazioni, desideri che non ha soltanto il diritto, ma anche il dovere di prendere in considerazione.
Bisogna essere perfetti, tutto quello che facciamo deve essere perfetto. Non è possibile commettere errori, bisogna onorare ogni impegno indipendentemente da quanto ci costa, occorre rispettare le scadenze e dare sempre il meglio con poco.
Anche in questo caso obbedire a queste credenze errate vuol dire vivere nell’illusione, crearsi un momento irreale, generare reazioni di stress che alimentano l’ipertensione, l’emicrania e le ulcere gastriche, per non parlare dei problemi interpersonali.
Accettare quello che è significa ammettere che essere “umani” equivale ad essere fallibili, avere limiti di tempo e di forza. Significa osare dire: “Mi sono sbagliata!” , “Non ce la farò per quella data ..”.
E’ necessario essere sempre forti, non mostrare le proprie debolezze, non chiedere nulla agli altri e cavarsela da soli. Gli esseri umani sono interdipendenti, hanno bisogno gli uni degli altri: “Nessun uomo è un’isola” scrive il poeta John Donne.
Essere forti significa accettare di essere quello che si è, con i propri punti di forza e le proprie debolezze, le proprie competenze e le proprie ignoranze. Forse, da piccoli le circostanze si sono rivelate faticose e non è stato possibile are affidamento su genitori adeguati. Una volta adulto, l’essere umano può scegliere. Può imparare a chiedere aiuto. Può anche imparare a vedere ed accettare ciò che è, anziché quello che erroneamente crede debbano essere le cose.
E’ necessario sbrigarci, non c’è tempo da perdere! Quanto stress inutile per chi ha maturato questa credenza. In realtà sono ben poche le situazioni che ci impongono di essere tesi e di spaccare il minuto. E’ quasi sempre possibile organizzarsi, pianificare in modo da avere tempo a sufficienza per raggiungere i propri obiettivi rimanendo rilassati. Accettare questo vuol dire accettare che ogni giornata sia fatta solo di ventiquattro ore e che il ritmo della vita non ci guadagna nulla ad essere frenetico.
E’ necessario compiere sforzi enormi per vivere in maniera decente.
Chi si nutre di questa convinzione si impegna assai più del necessario. Immagina un mondo fittizio che dovrebbe scaturire dai suoi sforzi. Accettando di vedere e di capire ciò che è, accettando la realtà diventa possibile valutare oggettivamente l’esito delle proprie fatiche e il modo in cui modificare le proprie strategie.
Accettare quello che è, allentare la presa sulle credenze errate e sui miti inutili rappresenta la maggior sfida della nostra esistenza …..