http://www.flickr.com/photos/diquara/4725101444/
Non è raro conoscere persone molto suscettibili, con le quali è necessario stare veramente attenti a come si parla o come ci si comporta; esse tendono infatti a interpretare le azioni che non corrispondono alle loro aspettative come disattenzioni o offese nei loro confronti e possono reagire malamente , con rimproveri, chiusure, musi lunghi.
Tutti sappiamo quanto sia difficile e faticoso trattare con queste persone, che richiedono uno sforzo relazionale molto alto al fine di non incorrere in equivoci o fraintendimenti.
Qualche volta, se le osservo da lontano, mi viene quasi da ammirarle, per la loro straordinaria capacità di perseguitare il prossimo e di ottenere molto spesso attenzioni e accondiscendenza superiori a quanto sia necessario e naturale.
La suscettibilità è una caratteristica emozionale complessa. Essa appartiene a tutti noi e deriva soprattutto dalla nostra insicurezza e dalla nostra dipendenza dagli altri.
Anche le persone molto sicure di sè possono essere estremamente suscettibili quando si trovano in una situazione di affidamento che le rende più fragili.
Una disattenzione da parte di uno sconosciuto può non offenderci, ma lo stesso gesto da parte di un amico può ferirci se in quel momento la nostra aspettativa o il nostro bisogno è quello di ottenere vicinanza, affetto, condivisione.
Se facciamo derivare la “nascita” della suscettibilità in famiglia, essa rimanda alla difficoltà del bambino a costituire un senso della propria identità sganciato dal continuo rifornimento di affetti, gratificazioni e attenzioni. Così può esservi la suscettibilità dei primogeniti, feriti e privati di importanza dall’emergere di altri personaggi sulla scena familiare (i fratelli e le sorelle minori), quella degli ultimogeniti, messi in ombra dall’importanza e dal potere dei maggiori, quella infine dei mezzani presi tra due fuochi …
C’è poi la suscettibilità di chi ha problemi fisici, di chi ha meno soldi, di chi non ha ancora raggiunto il meritato prestigio, di chi si fa in quattro per gli altri, di chi è importante altrove e qui non lo si riconosce, etc, etc ….
Quando è molto alta la suscettibilità è uno scudi difensivo che si frappone fra noi e le nostre relazioni, limitandole seriamente perché non è per nulla orientata a conoscere “chi sia l’altro”, bensì a valutare quanto l’altro “sa chi sono io” o, per meglio dire quanto l’altro mi tratti per quel che ‘io voglio assolutamente essere per lui”!
Comunque al di là dei casi patologici, la suscettibilità rappresenta un segnale utile: nella sua fisiologia si manifesta come un allarme, che può accenderai in differenti tonalità e così avvertirci di qualcosa che ci riguarda.
Possiamo utilizzarla come “termometro” che misura la febbre della nostra insicurezza e della nostra instabilità affettiva, in generale o nei confronti di determinate relazioni. Essa ci indica quanto siano grandi i nostri bisogni e le nostre aspettative, la quantità di “dolore” e di “rabbia” che proviamo per la loro delusione sarà la misura della nostra fragilità e la nostra dipendenza dalla persona o dal gruppo che ci sta frustando, che non sa chi siamo noi, e che, se anche lo sa, se ne frega!
Le nostre buffe reazioni emotive e i nostri comportamenti irriguardosi e colpevolizzanti verso coloro che non ci aiutano a sostenere la nostra identità potrebbero farci sorridere, se decidessimo “eliminare” la causa del nostro male, anziché arrabbiarci con il mondo.
Ma come ai fa a superare questi scogli, a diventare meno insicuri,ad allargare la nostra vita senza pretendere che ci sia sempre qualcuno vicino a noi che ci legge nella mente e si comporta come noi desideriamo?
Semplice impariamo a “fare provviste”. Ogni occasione di crescita, ogni gesto di riconoscimento sono un alimento che possiamo metabolizzare e immagazzinare.
Le persone troppo suscettibili non hanno mai imparato a sentirsi sazie e spesso questo è capitato, perché mentre mangiavano relazioni buone si preoccupavano della possibilità che qualcosa fosse loro tolto, anziché godere di quello che avevano a disposizione.
Un piacere che venga sentito come un’offerta della vita e non sia subito liquidato come l’antipasto di un pasto infinito e mai saziante può farci sentire una dolcezza infinita. Un obiettivo che ci permettiamo di sentire come conquistato da noi e non concesso dalla benevolenza dell’altro può parlarci di chi noi veramente siamo.
Tutto ci lascia la porta aperta alla speranza e fa abbassare la febbre, almeno per un po’ …
liberamente tratto da:
S.Gastaldi – “La terapia degli affetti” – Ed.FrancoAngeli