Perché, pur in assenza di conclamate cause esterne o interne che producano in noi dolore psicofisico d’intensità superiore alla nostra soglia di sopportazione, tuttavia non riusciamo a resistere alla tentazione della lamentazione?
Per cercare di proporre una risposta semplice a questa domanda complessa potremmo prendere a prestito le teorie dell’Analisi Transazionale dicendo che ci lamentiamo per la nostra incapacità a controllare e contenere il Bambino piagnucoloso che è in noi.
Ma se davvero fosse totalmente così, la risposta conterrebbe anche una corrispondente prospettiva evolutiva e risolutiva.
Proprio la capacità di controllare, contenere e guidare quello stesso Bambino piagnucoloso potrebbe infatti essere appresa per essere poi spesa ogniqualvolta ci troviamo di fronte a dei lamenti. Ciascuno di noi, quindi, potrebbe dedicarsi all’apprendimento di quella competenza grazie alla quale, come dice Berne “l’Adulto “mantiene il controllo del comportamento nelle relazioni con gli altri che potrebbero, consciamente o inconsciamente, tentare di attivare il suo Bambino o Genitore” (Eric Berne “Analisi Transazionale” – Ed.Astrolabio)
E l’Adulto mantiene il controllo del comportamento quando per esempio tu mi provochi, mi sfidi, ovvero il Genitore critico o il Bambino piagnucoloso che sono in te cercano di attivare il Genitore critico o il Bambino piagnucoloso che sono in me, mentre io evito di accogliere la provocazione, lascio cadere la sfida, attivando in me soltanto l’Adulto.
Questo quindi significa che dobbiamo esclusivamente identificarci con l’Adulto che è in noi? No. Come precisa Berne infatti “ciò non significa che soltanto l’Adulto sia attivo nelle situazioni sociali, ma che è l’Adulto a decidere se e quando lasciare libero il Bambino o il Genitore e quando riassumere il controllo” (Berne, Op.citata)
Proiettare sugli altri e attribuire loro intenzioni persecutorie nei nostri confronti senza tuttavia verificare mai l’effettiva presenza di simili intenzioni, può essere il sintomo di psicopatologie gravi: la classica paranoia e i disturbi paranoidi ad essa connessi.
Tuttavia, anche in assenza di conclamate patologie, la diffusione inconsapevole di questa attività proiettiva è sicuramente molto frequente ed è anche all’origine di molte o forse di tutte le lamentazioni possibili.
Un esempio fra tutti, quello riportato da Paul Watzlawick “la Storia del martello” . “ un uomo vuole appendere un quadro. Ha il chiodo, ma non il martello. Il vicino ne ha uno, così decide di andare da lui e di farselo prestare. A questo punto gli sorge un dubbio: “e se il mio vicino non me lo vuole restare? Già ….. ieri mi ha salutato appena. Forse aveva fretta, ma forse la fretta era soltanto un pretesto ed egli ce l’ha con me. E perché? Io non gli ho fatto nulla, è lui che si è messo in testa qualcosa. Se qualcuno mi chiedesse un utensile, io glielo darei subito. E perché lui no? Come si può rifiutare al prossimo un così semplice piacere? Gente così rovina l’esistenza agli altri. E per giunta si immagina che io abbia bisogno di lui solo perché possiede un martello. Adesso basta!”. E così si precipita di là, suona, il vicino apre, e prima ancora che questo abbia il tempo di dire: “Buongiorno”, gli grida: “si tenga pure il suo martello, villano!”
Quando ci lamentiamo di qualcuno lo facciamo perché egli ci perseguita, ci ostacola, ci invidia, ci ha preso di mira, non ci capisce, non collabora, non si fida … oppure perché noi siamo convinti che così sia e di conseguenza gli attribuiamo queste cattive intenzioni???
In questo caso, in assenza di verifiche dirette, potremmo scoprire oppure potremmo anche non scoprirlo mai, e questo sarebbe anche peggio, che in realtà quelle nostre convinzioni negative, quelle nostre attribuzioni, erano del tutto prive di fondamento.
Bisogna allora riconoscere che ogni proiezione ed ogni attribuzione non verificata ci solleva sì dalla responsabilità di cercare una soluzione positiva alle difficoltà in cui ci stiamo trovando, ma quelle stesse proiezioni ci inducono o ci condannano anche a vivere di lamenti.
Anche nel caso in cui non si trattasse di proiezioni, poiché il fondamento delle nostre convinzioni negative è stato verificato, siamo proprio sicuri che lamentarci della collega, del capo, del fidanzato geloso o del vicino di casa, sia l’unica e migliore iniziativa possibile?
Non sarebbe meglio, di fronte ai loro attacchi, ridimensionarli, senza tuttavia fingerli di non vederli, sdrammatizzarli, senza tuttavia banalizzarli e ironizzare, senza tuttavia svalutare le persone, per riuscire poi, magari anche in loro compagnia , a farci …. una bella risata ????
Reagisco quando lascio che prevalgano dentro di me, e quindi di esprimano senza alcun controllo, i miei impulsi. Di conseguenza può sembrare che ogni reazione, e quindi anche ogni lamentazione, proprio in quanto trova nell’istinto e nell’impulso la propria legittimazione, non solo sia naturale e quindi “sana”, ma sia anche utile e quindi vantaggiosa.
Come si usa dire: “quando ce vò, ce vò!”.
Sul fronte opposto rispetto a istinto e impulso, c’è ragione e intelligenza. Queste assicurano sì saggezza a chi le sa utilizzare in modo appropriato ma si rivelano impotenti di fronte all’emergenza delle reazioni impulsive ed istintive.
A questo proposito può venirci in aiuto l’ Intelligenza Emotiva che può essere definita proprio come la capacità non soltanto di controllare, ma soprattutto di gestire, guidare e governare istinti, impulsi ed emozioni, invece di esserne controllati e dominati.
Creare e ricreare equilibrio in questo rapporto, ottimizzandolo e migliorandolo continuamente, è la condizione per riuscire a reagire di meno, attraverso lamentazioni e recriminazioni tendenzialmente auto-distruttive, per agire di più, attraverso comportamenti realisticamente finalizzati ad una soddisfacente affermazione di sé.
L’insoddisfazione, bruciante e immediata o latente e ritardata, è infatti il risultato, più probabile che riesce a conseguire chi, passando da una reazione all’altra, nel lavoro come in amore come nella vita, non sa rinunciare all’onnipotente impulso infantile che si riassume nell’alternativa: “o tutto o niente”.
Tra il “tutto o niente” ci sono infatti sempre il qualcosa, il poco, il molto, in altre parole “la giusta misura”, che, adeguatamente apprezzata, può non solo fare evaporare il combustibile di ogni possibile lamentazione, ma anche offrire la miscela più appropriata per produrre, perfino nei contesti meno favorevoli, ogni possibile soddisfazione ….