Non abbiamo bisogno di impararlo all’università: litigare è una cosa che sappiamo fare benissimo sin da bambini. Crescendo, poi, ne impariamo una più del diavolo e riteniamo di essere sempre più bravi.
Ma è davvero così? Proviamo a guardare la gente intorno a noi, quando litiga nelle più diverse situazioni e ci accorgeremo dell’esistenza di stili diversi di litigio, dal parossismo compulsivo del “Lei non sa chi sono io!” in giù. Alcuni tratti però rimangono costanti, al punto che, con un’attenta osservazione, possiamo ambire di riconoscerli in ogni occasione. Diciamocelo chiaro: in genere si tende a perdere il controllo abbastanza facilmente.
Sappiamo che è un guaio, perché una volta crollata la diga, è poi molto difficile controllare il flusso impetuoso delle acque.
Nella nostra vita, possiamo fare un Vajont ogni giorno, e anche questa è una scelta. Le acque irrompono a valle con potenza distruttiva, non sono arginabili, trasportano ogni sorta di detriti e arrivano a calmarsi soltanto dopo aver travolto tutto al loro passare, quando finalmente trovano una piana o un bacino che riesca ad accoglierle.
Possiamo litigare per vari motivi:
- Quando ci sentiamo inferiori agli altri e quindi siamo sempre sul chi va là nel timore che essi intendano sopraffarci;
- perché la situazione che stiamo vivendo mal si sposa con le nostre aspettative e questo ci mantiene in uno stato di continua tensione, che rende più facile lo sbotto improvviso;
- quando nella nostra relazione di coppia non ci sentiamo riconosciuti e valorizzati in quelle che riteniamo le nostre qualità;
- realtà professionali dove, al di là dei rispettivi compiti magari anche ben definiti, leggiamo come invasioni di campo o autentiche prevaricazioni le mosse del collega e siamo portati a interpretarle come meschini lavorii indirizzati a nostro esclusivo danno.
Ma quante altre ragioni potremmo aggiungere?
Molto spesso le conseguenze dei nostri scatti d’ira sono più gravi, ben più gravi, delle ragioni che li hanno provocati. A tutti è occorso di accorgersi di quanto difficile sia risultato, una volta scoperchiato l’otre, tentare di ricucire le relazioni e rimettere le cose a posto. Purtroppo, ci rendiamo conto, a nostre spese, di quante ferite mal rimarginate poi, nel tempo, riprendono a sanguinare, L’animo umano non è una corazza impenetrabile e il chiodo ferocemente piantato ieri, per quanto poi dolorosamente estratto con le tenaglie, ha lasciato un solco profondo nel legno dell’anima, che forse si può nascondere, ma mai cancellare del tutto.
Quindi perchè non provare a far scende il campo la “calma”?? Paradosso in un post che parla del litigio??? Calma che molto spesso viene scambiata per assenza totale di emozioni e si sa che in una litigata sono proprio le emozioni a giocare il ruolo da protagoniste.
La calma interiore è una voce forte, purtroppo, però, siamo poco inclini ad ascoltarla, preferendole l’urlo dell’ira incontenibile, quello cui talvolta ci piace lasciarci andare per “far capire chi davvero siamo”.
Abbandonarsi al fluire incontrollato delle nostre emozioni, lasciarsi travolgere dal fiume in piena dei sentimenti ribollenti e dare libero sfogo ai risentimenti dei quali ci sentiamo legittimi titolari, quali passi in avanti ci permetterà di fare in vista dell’affermazione di una nostra giustizia?
Perché in effetti proprio di questo si tratta: è l’ingiustizia subita, patita a denti stretti, mal sopportata per via di una sensibilità acuta, che ci fa gridare.
Come dunque costruire la giustizia partendo da premesse ingiuste? Perdere il controllo non paga. Lo sappiamo bene, soprattutto quando parliamo degli altri. Quando invece accade a noi, allora tutto ci pare giustificato: “Sì, è vero. Però io …” ,già, però io … e con questo arrivederci e grazie all’intelligenza.
La regressione a livello animale è istantanea e francamente anche la più facile. Talmente facile che ci dimentichiamo per strada le forme più elementari di auto controllo.
Buona cosa, quindi, è conservare sempre quel quid di intelligente razionalità che ci permette di riconoscere l’accendersi della miccia. Perché riconoscere l’accensione della miccia è straordinariamente utile per riuscire a controllare gli immediati sviluppi successivi. Che poi, e anche questo lo sappiamo benissimo, accadono in frazioni di tempo infinitesimali. Aspettare, indugiare, sarebbe deleterio. Ci vuole una grande consapevolezza di sé per essere in grado dapprima di riconoscere l’impulso e poi di controllarlo.
Proviamo, a questo punto, a tirare in ballo la caratteristica costante di ogni cosa umana: la fine … tutte le cose umane finiscono e quindi anche l’ira.
Perché sul momento, magari, ci lasciamo andare, non misuriamo più le parole, o peggio, i gesti e lasciamo che lo tsunami si abbatta sulla nostra malcapitata vittima. Ma poi, rientrata la fase acuta eccoci quasi a sorridere della stupidità umana che ci ha fatto rischiare chissà che. E’ quello il momento in cui vengono i sudori freddi, al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere ….
Possiamo parlare di ira e di furore, di rabbia e di forte risentimento o di collera, di irritazione, di animosità o di esasperazione: quante sono le sfumature che ci conducono all’abbandono totale del nostro autocontrollo? Ma, parallelamente, quale di queste sfumature ci aiuterà a riconoscere in tempo l’accensione della miccia?
Controllare le nostre azioni non per abolirle, bensì per evitare che ci creino maggiori danni di quelli che già riteniamo di aver subito.
Quante energie destiniamo ogni giorno a correggere azioni compiute in precedenza, delle quali ci siamo poi resi conto che sarebbe stato meglio non fare del tutto o fare in modo diverso??
E quindi quanta parte delle nostre reazioni istintive potrebbero risultare dovute non a una decifrazione attenta e oggettiva dei fatti ma piuttosto ad una interpretazione di questi? Con il risultato che, a quel punto, non stiamo ragionando del fatto in sé, ma di una sua lettura, che ci appare oggettiva ma oggettiva non è, e quindi ci trascina in maldestri fraintendimenti le cui conseguenze non sono difficili da immaginare.
Non sarebbe male nel momento critico trovare la forza di astrarsi dalla situazione che stiamo vivendo, evitando manifestazioni non ragionate, quelle che escono dalla bocca senza adeguato controllo del cervello e del cuore.
Un contrasto lo sappiamo, ha tempi concitati nella sua escalation verso il litigio; il tutto poi procede secondo i rigidi canoni del noto processo azione-reazione. Soffermarsi a riflettere è impegno di frazioni di secondo, sufficienti a diluire la potenzialità dell’esplosivo. Questo modo di procedere non ci rende né deboli né vigliacchi né paurosi, al contrario, riusciremo a dare di noi stessi l’immagine di persone posate e a modo, capaci di non lasciarsi travolgere dall’evolvere dei fatti, in grado di tentare un loro controllo.
E’ un po’ come se ciascuno di noi portasse nella propria valigetta una quantità di tritolo, il terribile esplosivo usato dai terroristi. Le emozioni non controllate costituiscono il detonatore, ed ecco la tragedia è consumata: tutti morti! …..
Anche fare il kamikaze è una scelta ….