Il sintomo come segnale di allarme

DOLORE 4

La consapevolezza di attraversare una crisi esistenziale presuppone la capacità di un’osservazione critica di sé. Ugualmente, il riconoscere il proprio stato si smarrimento esige la presenza dentro di sé di un referente affidabile che ci consenta di prendere coscienza del concetto di mancare di Identità o di averla persa.

In realtà chi si trova a vivere un periodo di confusione il più delle volte non se ne rende conto e quello che avverte sono, quasi sempre, solo una serie di sensazioni corporee che segnalano e accentuano lo stato di sofferenza. Queste sensazione corporee “negative” sono quello che chiamiamo “Sintomi”.

Quale è il meccanismo alla base di tutto questo? E quale è la funzione del sintomo? Sostanzialmente il sintomo è un segnale di allarme.

Come dice Henri Laborit biologo filosofo ed etologo francese, quando un individuo si trova in uno stato di stress eccessivo, deve aggredire l’ambiente, fonte dello stress, o fuggire da esso. Ma quando è incapace di attuare una di queste soluzioni, allora si inibisce e sviluppa un sintomo.

I sintomi fisiologici fello stress: gola chiusa, collo teso, respiro corto, polso accelerato, inducono nella persona uno stato di ansia che prepara l’organismo a reagire ad una aggressione, con il fenomeno attacco/fuga.

Distrutto o evitato l’elemento aggressore, ritrovato un ambiente sicuro, l’individuo potrà tirare il famoso “sospiro di sollievo”, mentre il suo organismo recupererà l’equilibrio necessario al rilassamento e alla ripresa.

Quotidianamente ognuno di noi si trova a vivere un’ampia gamma di situazioni stressanti e di conseguenza reagirà di volta in volta con l’aggressione o con la fuga.

Esempi tipici di attacco all’ambiente sono ad esempio i comportamenti aggressivi di un padre o di una madre nei confronti dei figli, dei più grandi verso i più piccoli, oppure nel contesto lavorativo, quelli dei superiori verso i subalterni. Ogni attacco ben riuscito scarica lo stress e il rilassamento è ritrovato. In questo modo diverse persone, anche “psichicamente disturbate” , attraverso la posizione di dominio che concede loro il privilegio di “curarsi psicologicamente” a spese degli altri, riescono a compensare bene le frustrazioni e a vivere senza mai prendere coscienza del proprio stato di profondo disagio interiore.

Il comportamento alternativo all’aggressione, cioè la fuga, è altrettanto comune e si attua rifugiandosi freneticamente nelle più disparate attività esterne all’ambiente quotidiano, oppure, caso tipico di molti, rifugiandosi nel lavoro. Anche così l’insoddisfazione che si prova verso la propria vita, compensata dalla iperattività permette alla persona di sopportare le frustrazioni scaricandole altrove.

Il problema insorge quando il tipo, o l’ambiente di lavoro non permettono di scaricarsi, quando la famiglia è refrattaria o si ribella alla scarica, quando non esiste la possibilità di attività compensatorie. E anche quando il nostro ruolo di esseri civilizzati ci impone di affrontare e/o attuare le aggressioni in maniera socialmente accettabile, mentre alcune parti di noi vorrebbero risposte fisiche (pugno, calcio etc..).

A questo punto lo stress è continuo, il respiro non ritrova il suo ritmo, i muscoli rimangono tesi, il cuore lavora sotto sforzo.

Senza la possibilità di rilassamento non rimane che uno spostamento continuo di questa energia che, non scaricandosi nell’attacco/fuga, finisce per rivolgersi contro noi stessi, in una sorta di autoaggressione, generando prima sintomi, poi disfunzioni, poi vere e proprie patologie organiche.

L’insorgere della sofferenza fisica, segnalata dai sintomi, costringerà la persona a consultare uno specialista: il medico che gli prescriverà medicinali e giorni di riposo.

Risultato: ritiro dall’ambiente, tramite una fuga autorizzata, e quindi recupero dello stato di rilassamento.

Terminato l’intervallo curativo, l’individuo si re immergerà nell’ambiente e riprenderà la vita di sempre. Ma la radice è nel profondo e il problema non è stato realmente risolto. La sofferenza ricomincerà e la persona tornerà dal medico, per sentirsi nuovamente autorizzata a dire sia al lavoro che a casa: “Sto male, lasciatemi in pace!” ottenendo così il visto per un nuovo ritiro/fuga , per un nuovo illusorio rilassamento.

Per rompere questo circolo vizioso occorre un’autentica revisione esistenziale, che pochi, però, sono disposti a intraprendere, troppo legati ancora al tabù che il male dell’anima sia di predominio dei “folli”.

Fare il punto, fermarsi per guardare dentro se stessi, riconoscere che si sta vacillando , che si è perso l’orientamento vuol dire prendersi cura di se stessi.

Significa smettere di perdere tempo a preoccuparsi e cominciare ad occuparsi per ri-trovare il proprio ben-essere.

Chiedere aiuto ad un professionista che ascoltando incondizionatamente e senza giudizio può sostenerti nella ricerca delle tue soluzioni vuol dire essere un adulto consapevole dei propri limiti , non sempre si può fare tutto da soli, e questo è il primo passo verso lo scioglimento del disagio.

Il Counseling può essere un buon inizio; non ti da soluzioni preconfezionate, bensì ti aiuta a trovare le tue ritenendo che ogni individuo abbia in sé la capacità intrinseca di ri-trovare la sua strada. Per questo il Counselor ha nei confronti del proprio cliente un atteggiamento attivo, propositivo e stimolante le capacità di scelta volto ad incentivare il concetto di responsabilità individuale.

Il Counseling ti aiuta a ri-prendere in mano il timone della tua vita lasciando a te la scelta della rotta, direzione e velocità.

Il Counseling è un processo di apprendimento interattivo: facendo leva sulle capacità qualità e risorse della persona coinvolta nella situazione problematica, il Counselor mira a sviluppare nel cliente nuovi processi di esplorazione, comprensione e apprendimento, al fine di raggiungere una migliore espressione del proprio sé.

L’obiettivo principale del processo di Counseling è quello di fornire ai clienti l’opportunità di procedere in modo più autonomo, verso una vita più soddisfacente e piena di risorse, come individui e membri di una società più ampia.

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