“L’attività o l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro”. P.Watzlavick
Qualche riflessione sul linguaggio che usiamo e su come, a volte, la maniera in cui parliamo va ad esprimere il concetto contrario …….
1° assioma della comunicazione: non è possibile non comunicare. La comunicazione è fatta di parole e di silenzio. Le convinzioni si esprimono attraverso il linguaggio e questo è in grado di produrre una vera e propria magia.
Il potere evocativo del linguaggio è davvero sorprendente. Tutti noi abbiamo associato alcune parole a esperienze più o meno piacevoli: il solo pronunciarle o sentirle pronunciare può suscitare in noi sentimenti di simpatia oppure di profondo rigetto. Le parole infatti si ancorano facilmente alle situazioni e alle esperienze. Spesso questa loro caratteristica è usata per evocare sentimenti produttivi: basta pensare all’abitudine di creare slogan particolarmente accattivanti per “fare squadra”, per favorire il senso di appartenenza ad un team o un gruppo di lavoro.
Quando diciamo “lapsus freudiano” intendiamo quel fenomeno particolare per cui le parole ci escono dalla bocca inconsapevolmente, rivelando schemi di pensiero che esistono nella parte più profonda di noi.
Le parole sono una rappresentazione delle nostre esperienze mentali. Rappresentano, come dice Noam Chomsky la struttura superficiale che, a sua volta, trasforma la struttura profonda. Ciò significa che il linguaggio ha il potere di plasmare le nostre stesse esperienze e di trasformare la realtà.
La realtà in sé è così complessa che, fin da quando veniamo alla luce, costruiamo, attraverso cancellazioni, generalizzazioni e distorsioni, un nostro modello di mondo.
E’ il linguaggio a rappresentare la Mappa o il Modello del mondo, che ricordiamoci bene NON è il territorio ( leggi qui), con cui possiamo comunicare agli altri le nostre esperienze. Questa nostra abilità linguistica sarebbe la cosiddetta marcia in più che gli esseri umani hanno e che ci ha consentito di progredire fino ai livelli attuali.
D’altra parte gli esseri umani devono essere opportunamente istruiti all’uso del linguaggio perché, se male utilizzato, può essere fonte di incomprensioni.
“Nessuna cosa è buona o cattiva, è il pensiero che la rende tale” (W.Shakespeare); per questa ragione è così importante ampliare continuamente le nostre mappe. Più ampia è la mappa, più scelte abbiamo a disposizione.
Conosciamo la realtà attraverso le nostre percezioni sensoriali, ma queste non sono sufficienti. Gli esseri umani hanno anche una rete interna di conoscenze e di informazioni come le convinzioni e i valori. La nostra rete interna di conoscenze crea un altro insieme di filtri che orientano i nostri sensi, effettuando cancellazioni, distorsioni e generalizzazioni dei dati che arrivano al cervello.
Se diventiamo più consapevoli del potere che hanno le parole sui nostri pensieri e comportamenti, allora possiamo comprendere meglio i nostri filtri e decidere quali lasciare andare, perché di ostacolo al raggiungimento dei nostri obiettivi.
Le parole hanno il potere di dare una cornice alla nostra esperienza.
Prendiamo questi due informazioni:
- questo lavoro è ben remunerato;
- questo lavoro è molto impegnativo.
Dicendo “questo lavoro è ben remunerato “ma” è molto impegnativo” l’attenzione viene portata sulla seconda affermazione. Al contrario se diciamo” questo lavoro è ben remunerato “anche se” molto impegnativo”, l’accento è posto sulla prima affermazione.
Entrambe le affermazioni si trovano sullo stesso piano, a parità di importanza, se la frase che usiamo è “questo lavoro è ben remunerato ed è molto impegnativo”.
Quando invece la cornice viene applicata a contesti diversi, ci troviamo di fronte ad uno “schema linguistico”. Molte persone, ad esempio, utilizzano lo schema “ma” tendendo ad enfatizzare sempre l’aspetto negativo di ogni questione. Questa abitudine influenza moltissimo il comportamento e il tipo di scelte che si faranno di conseguenza.
Ecco dunque un modo semplice per cambiare uno schema limitante in uno schema potenziante: abituarsi a sostituire l’espressione “ma” con l’espressione “anche se”.
Quando non si ha fiducia sufficiente in se stessi per affrontare un cambiamento si è soliti dire, per esempio, che “si può fare tutto sicuramente ma bisogna superare molti ostacoli e darsi tanto da fare”. Scoraggiante vero ??
Proviamo a sostituire le parole e osserviamo cosa succede: “si può fare tutto sicuramente anche se bisogna superare molti ostacoli e darsi tanto da fare”. Il valore che questa seconda affermazione assume è molto motivante. Porta l’attenzione sul fatto che “si può fare tutto sicuramente”.
Le parole servono per incorniciare, perciò cambiare le parole equivale a cambiare la cornice. Due tipiche cornici sono la cosiddetta “cornice-risultato” contrapposta alla “cornice-problema”. Cona la prima siamo focalizzati sull’obiettivo che vogliamo raggiungere, mentre, con la seconda, continuiamo a indirizzare il problema senza risolverlo.
Le domande tipiche che si pongono utilizzando una cornice-problema sono:
“Quali sono le cause del problema”
“Di chi è la colpa?”
“Dove sono gli errori?”
“Che cosa è andato storto?”
Le tipiche domande che si pongono utilizzando la “cornice-risultato” invece sono:
“Che cosa voglio ottenere?”
“Come posso raggiungere l’obiettivo?”
“Di quali risorse dispongo?”
Per affrontare con successo un qualunque problema, la cornice-risultato è molto più efficace della cornice-problema. Se dico “voglio smettere di fumare perché fa male alla salute”, sto considerando il problema e avrò scarse probabilità di successo. Aumenterò invece le probabilità di raggiungere l’obiettivo, adottando uno schema più potenziante, come: “voglio migliorare la mia salute e adottare uno stile di vita equilibrato”
Le parole riescono a trasformare l’esperienza. Come? Accade esattamente ciò che succede con un quadro, quando si cambia cornice. La cornice adeguata valorizza il dipinto. Una cornice più ampia mette in luce dettagli importanti.
Ampliando la visione o adottando punti di vista differenti, le cose cambiano aspetto, a volte drasticamente.
Edward De Bono, il guru del pensiero laterale, nel suo libro “Sei cappelli per pensare” usa una simpatica metafora per rappresentare i sei diversi punti di vista che aiutano a risolvere i problemi in modo creativo ed efficace. Ogni cappello ha un colore diverso e, a ciascuno di essi, corrisponde una cornice diversa. Non esiste un cappello migliore di un altro: ciascuno, preso singolarmente, ha sia vantaggi che svantaggi. E’ l’insieme dei cappelli che aiuta a trovare la soluzione migliore: un altro modo per dire che una mappa più ampia offre maggiori possibilità di scelta.
Il linguaggio arriva sia all’emisfero sinistro (la parte logica e razionale del cervello), sia all’emisfero destro. Le parole agganciano l’inconscio e l’inconscio non comprende le affermazioni negative. Ecco perché il linguaggio è così inefficace quando esprimiamo concetti che al proprio interno contengono una negazione.
Dire “NON aver paura!” è sufficiente per evocare la paura stessa.
Se criticate qualcuno mettendo in evidenza quello che NON va bene, porterete l’attenzione del vostro interlocutore sugli aspetti negativi del problema, allontanando, di fatto, ogni possibile soluzione. Fatto sta che, in generale, siamo più esperti nel fare critiche distruttive, con tutte le conseguenze che ben conosciamo.
E che dire poi delle critiche distruttive che ci vengono rivolte? Come possiamo uscirne positivamente, senza riportare ferite inguaribili? L’unico modo per uscire da questa trappola consiste nel considerare l’intenzione positiva che può nascondersi dietro ad una valutazione che, così come viene espressa, potrebbe ferirci. Quello che rende distruttiva la critica sta nel significato che vogliamo attribuirle. Se prendiamo tutto come un attacco personale, è evidente che saremo particolarmente vulnerabili.
Concludendo, il trucco consiste nell’usare prospettive diverse, mettersi nei panni dell’altro per comprendere le intenzioni positive e considerare la situazione con un inquadratura diversa.
Secondo gli Indiani d’America “prima di giudicare qualcuno devi camminare per tre lune nei suoi mocassini”, questo significa immedesimarsi nell’altra persona, cercando di coglierne la situazione e le sensazioni, guardando il mondo attraverso la sua mappa. Solo così sapremo cogliere quelle intenzioni positive che stavano dietro ad un comportamento altri menti inspiegabile, specialmente utilizzando parametri e filtri presi da una mappa diversa.
Per approfondire:
Robert Dilts, Il potere delle parole